«In fuga per non fare il bambino-soldato La felicità è un diploma di terza media»

Hussein Muhomed scappato dalla Somalia
Le guerre non possono che riportare a storie di sofferenza. Lasciano ferite difficili da rimuovere, perché in guerra tutto è dolore e morte. Figuriamoci se ad...

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Le guerre non possono che riportare a storie di sofferenza. Lasciano ferite difficili da rimuovere, perché in guerra tutto è dolore e morte. Figuriamoci se ad esserne coinvolto diventando testimone di tanta atrocità è un ragazzino di soli dodici anni al quale, tra l'altro, viene chiesto di prendere un mitra in mano e di sparare contro altri esseri umani, forse a ragazzi della sua stessa età che fino a qualche giorno prima condividevano gli stessi giochi. Cominciamo a raccontare così la storia di Hussein Muhomed, che oggi a vent'anni, ma che otto anni fa era fuggito dalla casa in Somalia in cui abitava con la famiglia «perché dice io, il bambino soldato, non volevo farlo».


In Somalia la guerra civile va avanti dal 2006 e ancora oggi continua tra le varie fazioni e gruppi islamici attivi. E' risaputo che in Somalia, ma non solo là, vengono reclutati bambini come soldati da parte di taluni gruppi armati e nonostante l'utilizzo dei bambini, a volte anche di soli 9 anni, sia considerato crimine di guerra, si continua impunemente ad assoldarli. Ma Hussein non ci sta, di sparare per uccidere altre persone non ne vuol sentir parlare e così scappa da casa, a soli dodici anni, senza un soldo in tasca e soprattutto senza sapere dove andare. Tutto questo ha dell'incredibile. «Sono scappato racconta e per quasi cinque lunghi anni ho vagato per l'Africa percorrendo in lungo e largo quasi tutto il continente. Sono stato in Kenya, in Etiopia, in Sudan, in Egitto e in tanti altri Stati».

Ma come vivevi?
«Mi sono arrangiato facendo un po' di tutto per procurarmi del cibo. Ho fatto tutti i lavori che mi venivano chiesti, un po' qua e un po' là. Dormivo dove capitava, spesso all'aperto nei campi. Ho incontrato anche delle persone gentili che mi hanno dato qualcosa per vestirmi, ma mi sono imbattuto anche in tanta gente cattiva dalla quale sono sempre riuscito, fortunatamente, a fuggire».

E non avevi paura?
«Si, certo, un po' di paura l'avevo, ma quando pensavo che se fossi rimasto in Somalia avrei dovuto prendere un mitra in mano e sparare, allora dicevo che era meglio che io continuassi a girare lontano dal mio paese».

Così passano cinque anni, ma un giorno, sentendo raccontare che c'era la possibilità di raggiungere l'Europa attraversando in barca il Mediterraneo, Hussein raggiunge la Libia. Qui passa dei mesi terribili, di soprusi e violenze, ma finalmente, non si sa bene con quali soldi e come li abbia ottenuti, riesce a salire su uno dei tanti barconi che partono dalle coste libiche. Dove sei sbarcato?
«A Lampedusa, sono finito in un centro di accoglienza straordinario dove, qualche mese dopo ho ottenuto il riconoscimento di richiedente asilo e il conseguente permesso di restare in Italia».

Essendo, però, un minore Hussein viene affidato ad una comunità per minori stranieri ed entra a far parte del progetto Boa attivo a Forte Rossarol a Tessera.
«Non era mai andato a scuola, quindi non sapeva né leggere, né scrivere e di italiano spiaccicava solo qualche parola spiega un'operatrice del centro».

Hussein ha, quindi, iniziato un percorso di alfabetizzazione dimostrando fin da subito di essere un ragazzo assai sveglio. Ha imparato bene l'italiano, a far di conto, la storia e la geografia e tanto altro. E, sorpresa delle sorprese, l'altro ieri Hussein ha ottenuto la licenza media

«Sono stracontento risponde con gli occhi che sprizzano un'incontenibile felicità e non mi voglio fermare qui, ma continuerò a studiare perché il mio sogno è diventare un giorno un bravo ingegnere».

E' anche questa una storia di guerra, ma stavolta dal lieto fine.
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Il Gazzettino