«Contratto per mezza giornata, ma lavoravo giorno e notte»: nessun risarcimento alla badante. Voleva 150mila euro

«Contratto per mezza giornata, ma lavoravo giorno e notte»: nessun risarcimento alla badante. Voleva 150mila euro
MOTTA DI LIVENZA (TREVISO) - Nessun risarcimento alla badante che dopo la morte dell'assistita aveva chiesto 150mila euro al figlio, un professionista mottense,...

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MOTTA DI LIVENZA (TREVISO) - Nessun risarcimento alla badante che dopo la morte dell'assistita aveva chiesto 150mila euro al figlio, un professionista mottense, perché a suo dire l'orario di lavoro svolto era molto più di quello previsto dal contratto. Non solo: la donna dovrà pagare al professionista le spese processuali, circa diecimila euro. La sentenza, datata 15 ottobre, è stata pubblicata in tribunale a Treviso questo martedì. E respinge la tesi accusatoria che si è trascinata per due anni: «Avevo un contratto di lavoro regolare per mezza giornata, tuttavia facevo la badante giorno e notte».


LA VICENDA

Nel 2019 la questione era finita davanti al giudice del lavoro Massimo Galli: la causa era promossa da una 50enne badante di nazionalità rumena nei confronti del professionista di Motta. La donna, che assisteva l'anziana madre di lui, aveva chiesto il risarcimento appunto perché - secondo l'accusa - l'orario effettivo non corrispondeva a quello da contratto. Accusa rispedita al mittente dal professionista. La causa era stata avviata dalla badante, assistita dall'avvocato Claudio Rivellini, contro il mottense, quasi quattro anni dopo la morte della madre. «Era il figlio - in sintesi la tesi sostenuta - che diceva cosa fare, che pagava lo stipendio e svolgeva le mansioni tipo il pagamento delle bollette o rapporti con gli uffici per la madre». All'inizio la 50enne aveva cercato un accordo bonario con l'uomo, tutelato dall'avvocato Marco Padovan. L'accusato però ha sempre respinto le richieste. L'avvocato Padovan spiega: «La badante era stata assunta con regolare contratto dalla madre e non dal figlio e le cifre e gli orari di lavoro non rispondono a quanto avvenuto quattro anni prima». In questo contesto da parte dell'accusato scattò pure anche una querela per diffamazione nei confronti della donna che sarebbe stata udita pronunciare frasi denigratorie contro il professionista. In relazione alla causa di lavoro, il giudice Galli, prima di avviare l'esame, aveva concesso alcune settimane alle parti per accordarsi. Siccome l'accordo non si trovò, anche perché, come sottolineato dalla difesa, non c'era nulla da pagare, si è andati a processo.


LA SENTENZA

Ecco dunque la sentenza. Spiega l'avvocato Padovan: «Il giudice ha respinto la tesi accusatoria, condannando la donna al pagamento delle spese processuali, poco meno di diecimila euro. Sono stati sentiti parecchi testimoni e questa settimana è giunta la sentenza che fa luce su quanto avvenuto».

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Il Gazzettino