Una baby gang dietro la rapina e le coltellate ad Ardivel: «Rivivo quell'incubo ogni notte»

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PONTE NELLE ALPI - «Se mio figlio torna a casa con la felpa sporca di sangue non faccio finta di nulla, chiedo, vado a fondo, cerco di scoprire, vigilo..., i due ragazzi non c’entrano, se hanno fatto quello che hanno fatto vuol dire che nessuno ha insegnato loro cosa si può e cosa non si può fare»: sta meglio Franco Ardivel, il 62enne titolare del negozio di alimentari di Viale Dolomiti che il 4 novembre verso le 19, poco prima della chiusura, vide la morte in faccia, bastavano pochi centimetri e quella decina di coltellate vibrate dal rapinatore tra spalla e braccio potevano colpire organi vitali. 


IL COMMENTO
Il cerchio delle indagini si è chiuso giovedì attorno al 17enne che quella sera ferì Franco Ardivel e al complice, un 16enne che impugnando una perfetta riproduzione di Glock 17 senza tappino rosso sferrò un pugno al mento dell’amico di Ardivel, Franco Rova accorso per portargli aiuto. Con i due minorenni di Cornei e di Trichiana, sui quali pende l’accusa di porto abusivo di arma, rapina aggravata e lesioni personali sono finiti nei guai altri due giovanissimi che dovranno rispondere di favoreggiamento personale perchè nei minuti concitati dopo il misero colpo, fruttato circa 150 euro, li avrebbero aiutati a cambiarsi i vestiti. Tutto come se fosse la cosa più semplice del mondo: quella sera la gang arrivò in treno da Belluno, percorse la traversa che porta in viale Dolomiti, un’occhiata al negozio, l’attesa nel buio del momento propizia dall’altra parte della strada, le ultime disposizioni, cosa fai tu, cosa faccio io. Poi il via. Il trambusto nel negozio, l’imprevista reazione di Ardivel, l’arrivo altrettanto imprevisto dell’amico Giorgio Rova, il piano che sembrava perfetto che ora invece si sbriciola drammaticamente, il sangue che schizza sul pavimento, la fuga precipitosa dopo aver arraffato poche banconote dalla cassa. 


I RISCONTRI
Da quel momento è iniziata la paziente opera di analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza: in prima fila la Squadra mobile di Belluno che frame per frame ha incrociato orari, posizioni e sagome: alla fine il mosaico è stato ricostruito e gli agenti sono risaliti ai quattro adolescenti che ora con responsabilità diverse dovranno rendere conto alla legge di quella serata che poteva finire in tragedia. Il 17enne accusato di aver accoltellato Ardivel è stato trasferito nel carcere minorile di Bologna, il suo complice è stato assegnato ad una comunità di Venezia, gli altri due per ora risultano solo indagati.


L’INCUBO


«Rivivo ogni notte ancora quegli attimi bui, sono in cura da una psicologa che mi sta aiutando a scacciare dalla mia mente l’immagine che ancora mi perseguita quando socchiudo gli occhi, quegli istanti da incubo del corpo a corpo con quel ragazzone alto e muscoloso che mi accoltella, la vista del sangue, le grida, la fuga... non è facile». Nessuna vendetta, nulla che sia riconducibile all’odio nelle parole di Franco Ardivel che però è ancora alle prese con i fantasmi di quella sera maledetta. «Intanto faccio i complimenti alla Polizia che subito dopo la rapina ha dimostrato grande attenzione e scrupolo per ricostruire nei particolari il colpo e per cercare di dare un volto e un nome agli autori, sono stati professionali ed efficienti. Ai ragazzi non ho nulla da dire, spero che la loro vita prenda strade migliori, ma forse una parolina andrebbe detta ai genitori che non sono stati in grado di trasmettere ai loro figli altri valori legati al rispetto degli altri, al lavoro, alla fatica. In queste settimane mi sono state di grande aiuto mia figlia e mia nipote che mi hanno permesso con il loro sorriso e il loro calore di superare quel trauma. Dovevo andare in pensione tra un anno, penso che chiuderò tutto già in maggio, queste cose accelerano le scelte».
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Il Gazzettino