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VENEZIA - Dal 1959 ad oggi, la Corte di Strasburgo ha pronunciato 1.202 condanne a carico dell'Italia, tutte per l'irragionevole durata dei processi. Non a caso nell'ultimo lustro sono stati spesi quasi 574 milioni di euro per gli indennizzi previsti dalla legge Pinto, che nel solo 2020 ha visto l'emissione di 11.867 decreti per circa 106 milioni. A questi numeri inquietanti potrebbe ora aggiungersi una storia tutta veneta, quella di 235 ex dipendenti di una decotta azienda di telecomunicazioni, che da tre decenni aspettano di vedere risarcita la loro pazienza: per definire il fallimento della società c'è voluto un quarto di secolo.
Telenit: fallimento e risarcimenti
Al centro della vicenda è quella che fu la Telenit di Malcontenta, un colosso da oltre 500 dipendenti attivo nel settore della telefonia, che quasi trent'anni fa franò in una voragine da oltre 100 miliardi di lire, scatenando inchieste e arresti che terremotarono un pezzo della Prima Repubblica economica.
Contro questo verdetto, i 235 addetti hanno presentato ricorso in Cassazione, davanti a cui peraltro il ministero della Giustizia non ha svolto alcuna attività difensiva. Assistiti dall'avvocato Bruno Guaraldi, gli ex creditori contestano la data presa come riferimento per il calcolo dei sei mesi e la bocciatura d'ufficio della loro richiesta. Con un'ordinanza depositata in questi giorni, la Suprema Corte ha stabilito che occorre celebrare una pubblica udienza per discutere l'interpretazione dell'articolo della legge Pinto, secondo cui «la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva». Per i lavoratori e i loro familiari, quell'istante va appunto considerato come la fine della loro attesa, avvenuta quattro anni fa. Comunque sia, l'odissea giudiziaria continua, con il rischio di questo passo di alimentare quello che la ministra Marta Cartabia ha definito «la Pinto della Pinto» e cioè «il paradosso dello Stato che paga anche indennizzi per il ritardo con cui paga gli indennizzi per i ritardi nell'amministrazione della giustizia», in un corto circuito di «ritardi al quadrato, costi al quadrato». (a.pe.) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino