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VILLORBA - La seconda bomba al K3 di Villorba nel 2018 non avrebbe potuto uccidere, ma al massimo ferire alle gambe i poliziotti accorsi dopo la prima esplosione. A dirlo sono le motivazioni della sentenza con cui due mesi fa la Cassazione ha respinto i ricorsi della Procura generale di Venezia e dell'anarchico Juan Antonio Sorroche Fernandez, rendendo così definitiva la condanna a 14 anni e 10 mesi pronunciata dalla Corte d'assise d'appello, dimezzata rispetto ai 28 anni stabiliti in primo grado a Treviso. In questo modo viene dunque confermata «l'ipotesi dell'attentato alla sola "incolumità" delle persone (e non anche alla "vita" delle stesse), per finalità di terrorismo»: decisiva alla fine è risultata «la inidoneità oggettiva dell'ordigno - per come era stato collocato e per come era previsto il suo innesco - a costituire un concreto pericolo di causazione dell'evento più grave».
Il congegno esplosivo: pentole e chiodi
I due «congegni esplosivi micidiali», cioè pentole contenenti polvere pirica e chiodi, erano stati posizionati nella scala di sicurezza che porta alla sede della Lega Nord-Liga Veneta.
Bomba nella sede della Lega: «Simulate l'esplosione, si saprà se poteva uccidere»
Gli effetti della deflagrazione
Per la Suprema Corte, invece, è stata corretta la valutazione dei giudici di Appello, secondo cui la deflagrazione sarebbe stata «potenzialmente lesiva della incolumità delle persone», ma non della loro «vita». Siccome il filo-trappola era stato collocato «all'altezza dell'ottavo/nono gradino, così da porsi ad una certa distanza dalla zona dello scoppio e da frapporre fra esso e la potenziale vittima la struttura stessa della scala», la Cassazione concorda sul fatto che «al più, nel raggio del pericolo accertato (di quattro metri), potevano rientrare i soli arti inferiori della vittima». Il 47enne Sorroche è stato condannato a pagare le spese processuali, altri 3.000 euro alla cassa delle ammende e ulteriori 5.500 alla parte civile Lega-Liga per la rappresentanza e la difesa, patrocinata dall'avvocato Stefano Trubian.
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Il Gazzettino