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PADOVA - «Buongiorno, la chiamiamo perché purtroppo i suoi dati sensibili sono stati pubblicati sul web a seguito dell'attacco hacker subito dall'Ulss Euganea. Siamo a disposizione per tutte le spiegazioni possibili».
Le prime telefonate sono scattate ieri mattina, ma l'operazione è ancora in corso: c'è da compilare la lista di tutti i pazienti coinvolti e potrebbero essere centinaia se non migliaia. Per avere un elenco completo ci vorranno giorni perché parliamo di oltre novemila file suddivisi in 51 cartelle, tutte legate a prestazioni eseguite all'ospedale di Schiavonia. L'Ulss sta chiamando i diretti interessati, ma intanto ha messo a disposizione un indirizzo mail e un numero verde per rispondere alle domande di ogni cittadino. In questi casi è un atto dovuto per legge e così i padovani hanno iniziato ad alzare il telefono. E la domanda è sempre la stessa: «Ci sono anche i miei dati?».
LA NOTA
Mentre la Polizia Postale indaga (un'indagine difficilissima, perché parliamo di una band di hacker russi in grado di tenere sotto scacco colossi di tutto il mondo), i tecnici informatici operano giorno e notte per analizzare il contenuto dei documenti pubblicati: referti, diagnosi e tanto altro. Il direttore generale Paolo Fortuna - al rientro in ufficio dopo essere guarito dal Covid - diffonde un video per assicurare ai pazienti che «non saranno mai lasciati soli».
«Tempestività e trasparenza sono le prerogative che anche in queste ore stanno caratterizzando la nostra azione - scandisce il direttore generale - I nostri operatori specializzati stanno contattando le persone interessate direttamente dalla vicenda per fornire la massima assistenza.
LA CONDANNA
«Noi, insieme ai nostri utenti, siamo vittime di un crimine vile e imperdonabile e siamo consapevoli che la posizione dei criminali, con la avvenuta pubblicazione dei dati, si rende ancora più grave - incalza Fortuna - Per questo continueremo a garantire la massima collaborazione alle forze dell'ordine, alla magistratura e alle autorità competenti che stanno indagando per assicurare alla legge i responsabili. Di pari passo, continua il lavoro della nostra task force nella ricognizione e nell'incrocio dei dati oggetto del furto subito».
Poi c'è l'avviso: «Ricordiamo che i dati pubblicati sono comunque difficili da raggiungere e sono frutto di attività illegale quindi anche solo consultandoli si commetterebbe un reato».
LA RICOSTRUZIONE
L'attacco informatico è stato messo a segno nella notte del 3 dicembre e nei giorni seguenti si è parlato di una richiesta di riscatto da 800 mila dollari. È stato il gruppo di Lockbit a far scattare un conto alla rovescia con un ultimatum ben preciso: le 16.45 di sabato 15 gennaio. Quando l'ora X è stata raggiunta, però, è comparso un nuovo avviso: altri tre giorni di tempo per pagare, fino a martedì. «Non trattiamo e non paghiamo» è sempre stato il messaggio del governatore Zaia e del dg Fortuna. Così è stato e gli hacker hanno agito di conseguenza. I file copiati sono comparsi prima nel cosiddetto dark web e poi anche in chiaro, anzitutto su siti internet con domini uzbeki e libici.
Tra il materiale clinico pubblicato troviamo moltissimi documenti che riportano alla gestione dell'ospedale come ad esempio i tamponi Covid effettuati dal personale sanitario, i turni dei dipendenti e le modalità di gestione della terapia intensiva. Ma ci sono anche i cedolini paga degli addetti all'ospedale e le informazioni sul budget dei reparti. Ciò che interessa a migliaia di cittadini padovani, però, è la grande quantità di dati sensibili: tra i documenti pubblicati ci sono referti di risonanze e radiografie, diagnosi del pronto soccorso e denunce per alcune aggressioni. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino