Polesine in recessione nel 2023, gli Artigiani della Cgia stimano -0,9% del Pil

Per le imprese il 2023 sarà un anno in salita
ROVIGO - Polesine in recessione, con un crollo del valore aggiunto provinciale stimato per il prossimo anno pari addirittura al meno 0,9%. Un passo indietro preoccupante per...

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ROVIGO - Polesine in recessione, con un crollo del valore aggiunto provinciale stimato per il prossimo anno pari addirittura al meno 0,9%. Un passo indietro preoccupante per una provincia che già è attardata rispetto alla locomotiva Nordest, che comunque non sembra marciare verso un 2023 particolarmente prospero. A dirlo un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre che nota come «se il 2022 si chiude con un aumento del valore aggiunto regionale del 3,8%, 0,5 punti in più rispetto alla media nazionale, nel 2023 il Veneto, come buona parte del Paese, scivolerà verso la recessione: il tasso di crescita, infatti, è previsto dello 0%. A livello provinciale, la crisi si abbatterà, in particolar modo, su Treviso e Rovigo: se nella Marca il valore aggiunto è previsto del meno 0,4%, in Polesine addirittura del meno 0,9. Sebbene a oggi in termini di Pil il Veneto abbia recuperato la situazione pre-Covid, più 0,5%, tre province su sette non l’hanno ancora fatto: Padova meno 0,1, Rovigo meno 1,6 e Belluno meno 2,2».

FANALINO DI CODA
Il valore aggiunto è il dato statistico con il quale si valuta la crescita di una determinata economia e che, a spanne, è quello che si ottiene sottraendo dal valore di tutti i beni e servizi prodotti, il costo delle spese sostenute per produrli. La stima sull’anno in corso è che Rovigo recuperi un 2% rispetto al 2021. Il valore più basso a livello regionale. E questo dopo che nel 2021 il Polesine, con 23.560 euro di valore aggiunto pro capite, pur superiori ai 21.807 del 2020, è stata di gran lunga la provincia più “povera” del Veneto, con la media regionale pari a 30.103 euro. Non a caso Rovigo è al 59. posto fra le 107 province italiane, mentre tutte le altre province venete si collocano fra il 13. posto di Vicenza e il 25. di Venezia.
«In Polesine - sottolinea Pieralberto Colombo, segretario generale della Cgil Rovigo - la ricchezza prodotta diminuirà dello 0,9% rispetto a quest’anno, ponendo Rovigo al penultimo posto in Italia della graduatoria sulla crescita 2023, molto distante dalle altre province del Veneto. I recenti dati del report mensile di Veneto Lavoro, aggiornati a settembre, mettono in risalto per il Polesine, ancora una volta, un quadro in chiaroscuro. In un tessuto socioeconomico come il nostro già fragile, è evidente che tali dati devono essere un forte monito per tutti, anche se per l’intero nostro Paese il 2023 si preannuncia particolarmente difficile. Peraltro, nei dati complessivi occupazionali spesso si sottovaluta un dato invece fondamentale che riguarda la qualità dell’occupazione e che vede tutt’ora nella nostra provincia, come nel resto d’Italia, una crescita dell’occupazione soprattutto precaria e per buona parte sottopagata».

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Il leader della Cgil polesana nota come «i primi preoccupanti segnali nel nostro territorio si vedono e come nella crisi creata dalla pandemia, ancora una volta i primi a pagare sono i lavoratori precari. Da qualche mese in molte aziende, causa l’incertezza determinata dai costi energetici fuori controllo e dalla difficoltà di reperimento delle materie prime, i contratti dei lavoratori a termine o in somministrazione non vengono prorogati o stabilizzati. Dal nostro osservatorio, negli ultimi 4-5 mesi ne abbiamo contati un centinaio tra aziende metalmeccaniche, chimiche o del settore gomma plastica e altri rischiano di aggiungersi da qui a fine anno. Senza un’inversione netta di tale tendenza, che porti a una buona occupazione, sarà impossibile colmare le tante diseguaglianze presenti e avviare un vero sviluppo anche locale di qualità dal lato occupazionale, salariale e attento alla sicurezza delle persone nei luoghi di lavoro, oltre che compatibile con la altrettanto primaria necessità della tutela ambientale. Deve essere totalmente rovesciata la logica sbagliata che ha visto prevalere per anni l’idea che la presunta flessibilità, che spesso si concretizza in precarietà e compressione delle retribuzioni e dei diritti dei lavoratori, consentirebbe alle imprese di competere sul mercato globale. I guasti sociali che si sono così creati sono sotto gli occhi di tutti».

 

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Il Gazzettino