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CONEGLIANO (TREVISO) – Quattro anni di reclusione. È la richiesta di condanna formulata dal pubblico ministero Massimo De Bortoli nei confronti di Stefano Milacic, il 51enne di Carpesica già condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi per la bomba rudimentale scoppiata nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2018 al liceo Flaminio a Vittorio Veneto (è ancora in attesa della fissazione del processo d’appello, ndr). Il meccanico vittoriese è accusato di possesso illegale e detenzione di armi, munizioni ed esplosivi. Secondo l’accusa sarebbe lui, infatti, il proprietario dell’armamentario tra pezzi di mitragliatori Ak-47, caricatori e munizioni ritrovati dentro due sacchi, in due punti differenti, nascosti in una canaletta dell’Enel, a Scomigo di Conegliano. L’udienza è stata rinviata per le repliche e la sentenza al prossimo 9 luglio.
LA DIFESA
Il difensore di Milacic, l’avvocato Giuseppe Gulli, in quasi due ore di arringa finale ha smontato le ipotesi accusatorie basandosi principalmente sulla perizia disposta dal tribunale riguardo il segnale gps installato nell’auto di Milacic, piazzata nel corso delle indagini per risalire all’autore della bomba al liceo Flaminio. L’avvocato Gulli ha sottolineato come nel punto in cui è stato ritrovato il primo sacco, a monte del canale, la Panda di Milacic non è mai transitata.
L’INDAGINE
A raccontare come si è giunti a incriminare il 51enne era stato, nel corso di una precedente udienza, il responsabile della Digos di Treviso che aveva svolto le indagini. Milacic, al tempo, era già controllato dopo la bomba al liceo Flaminio. Intercettato al telefono, avrebbe parlato con alcuni conoscenti sull’eventualità di acquistare i kalasnikov in modo clandestino. Il momento buono, secondo la Procura, arriva quando, nell’autunno del 2018, la Digos è sicura di aver intercettato un carico sospetto proprio nel coneglianese. Così, il 5 novembre gli agenti perquisiscono un capannone a Vittorio Veneto di proprietà di un 42enne, conoscente di Milacic. I due erano stati intercettati e nel corso di una delle conversazioni lo stesso Milacic chiedeva se il proprietario del capannone poteva trovargli posto per un bidone da conservare. Il contenitore resta nel capannone una notte. E lì dentro, per gli investigatori, c’erano armi, caricatori e munizioni. Ma quando la Digos arriva non trova nulla. Forse le armi sono state sistemate nel sacco e “affidate” all’acqua del canale dove resteranno, di sicuro, qualche tempo perché quando vengono trovate sono in parte arrugginite. Fatto sta che la passione di Milacic per le armi non è un mistero. Lui stesso le colleziona e si fa fotografare con mitragliette alla mano. E poi le posta sui social. Indizi che hanno spinto gli inquirenti a chiedere prima il processo e poi la condanna.
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