Anziana dimessa dall'ospedale dopo la frattura del bacino, la denuncia del figlio (e la lettera a Zaia): «Tutto sulle spalle della famiglia»

«Mia madre è stata dimessa forzatamente dall’ospedale di Vittorio Veneto, allettata, priva di autonomia, senza alcun piano di assistenza attivo». A denunciarlo è Stefano, figlio dell’anziana 86enne coinvolta in uno scontro con un ciclista che le ha procurato una frattura al bacino

Anziana dimessa dall'ospedale dopo la frattura del bacino, la denuncia del figlio (e la lettera a Zaia): «Tutto sulle spalle della famiglia»
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VITTORIO VENETO - «Mia madre è stata dimessa forzatamente dall’ospedale di Vittorio Veneto, allettata, priva di autonomia, senza alcun piano di assistenza attivo, né i presidi medico-sanitari indispensabili per garantirle la dignità e la sicurezza che ogni persona dovrebbe avere diritto di mantenere, anche nella fragilità. E nonostante avessi espresso la mia impossibilità a garantirle un’accoglienza adeguata, sia per motivi pratici sia per assenza di supporto assistenziale, è stato richiesto l’intervento dei carabinieri per obbligarmi ad accoglierla in casa, senza che alcuna alternativa o sostegno fossero predisposti».

A denunciarlo Stefano, figlio dell’anziana 86enne che fino a lunedì, prima di rimanere coinvolta in uno scontro con un ciclista che le ha procurato una frattura al bacino, conduceva una vita autonoma nella sua casa di Vittorio Veneto. Casa in cui è ritorna mercoledì pomeriggio e nella quale, da fuori Comune, si è momentaneamente trasferito il figlio, così da prendersi cura dell’anziana madre. E ieri Stefano oltre ad aver scritto all’azienda sanitaria Ulss2, al medico curante e ai servizi sociali del Comune, ha inviato una lettera al presidente del Veneto, Luca Zaia, per raccontare quanto accadutogli, oltre ad aver presentato querela ai carabinieri e contattato il tribunale del malato.

 

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L’appello

«Non entro nel merito clinico delle scelte, ma non posso accettare che nella nostra Regione, ricca di eccellenze sanitarie, si possa scaricare così il peso dell’assistenza su una famiglia non preparata e non dotata dei mezzi necessari – si legge nella lettera indirizza a Zaia –. Le scrivo non solo per raccontare l’accaduto, ma per chiedere un gesto concreto da parte sua: un’indagine sull’episodio e un impegno a rafforzare i protocolli di dimissione protetta nei reparti di pronto soccorso».

«Sono a casa con mia madre che dovrà rimanere allettata per 30 giorni non potendosi muovere a seguito della frattura – spiega Stefano che ha dovuto cancellare tutti i suoi impegni di lavoro che lo portano in giro per l’Italia –. Mi trovo a gestire tutte le sue necessità. Alla mia richiesta di poterla trattenere ancora in ospedale per darmi il tempo di organizzarmi, c’era ad esempio un materasso antidecubito da prendere oltre tutto quello che serve per gestire i suoi bisogni primari, hanno invece caricato mia mamma in ambulanza. Mentre mia mamma era in ospedale, io mi ero già mosso con i servizi sociali del Comune, trovandoli chiusi. E tra enti contattati, c’è stato un passarsi la palla e un non rispondere. Ieri ho parlato con le assistenti sociali che mi hanno dato appuntamento per martedì per una prima visita, poi partirà l’iter per l’assistenza domestica. Per accogliere invece mia mamma provvisoriamente in una casa di cura, mi è stato risposto che ci sono due mesi da attendere».

 

 

I chiarimenti

L’azienda sanitaria replica: «Il figlio è stato adeguatamente e ripetutamente informato dell'inappropriatezza di un eventuale ricovero considerate le condizioni cliniche della madre, rivelatesi sempre stabili durante le 48 ore trascorse in pronto soccorso. La paziente è stata riaffidata al curante che, contattato dal personale del pronto soccorso, si era reso disponibile a supportare il figlio, attivando l'assistenza domiciliare integrata per il prosieguo delle cure».

 

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Il Gazzettino