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MESTRE - «Col cuore in mano ci sentiamo di rivolgere un appello alle istituzioni, alla Regione e all’Ulss 3 Serenissima, affinché a Mestre siano attivati dei servizi di cura specifici per i disturbi alimentari. Purtroppo, nel pubblico, oggi non c’è niente, né l’ospedale dell’Angelo, che pure ha funzione di “hub”, ha un reparto o un day hospital dedicato. Ne abbiamo parlato con la direttrice Chiara Berti e col direttore sanitario Michele Tessarin, che ci hanno dimostrato grande attenzione. Ma è urgente provvedere, tante ragazze si trovano nelle stesse condizioni di nostra figlia».
Studentessa modello muore di anoressia dopo un calvario lungo dieci anni
A due giorni di distanza dal funerale, tornano a parlare i genitori di Chiara Fregonese, la giovane di 33 anni di Carpenedo, morta di anoressia. Con molto coraggio papà Mirco e mamma Antonella chiedono pubblicamente che “una città come la nostra, col suo numero di residenti, non può non avere un servizio di questo tipo. Le persone che soffrono di disturbi alimentari vengono mandate in Psichiatria, dove però la presa in carico è generica. Non c’è una psicologa, la nutrizionista si vede una volta al mese, il personale non è preparato per questa patologia perché ci vogliono competenze specifiche. Servirebbe una presa in carico continuativa, ma anche che fosse effettuata da un’equipe multidisciplinare, con medici che lavorano a stretto contatto e dialogano con i familiari”.
I coniugi Fregonese si sono rivolti a professionisti privati, affrontando spese molto alte, “che non tutti possono permettersi”.
C’è, poi, un’altra questione da considerare: il ricovero può essere rifiutato da una maggiorenne e, a parere dei genitori di Chiara, la normativa andrebbe cambiata. «Questo è un disturbo subdolo – spiegano – perché il paziente non si rende neanche conto di star male. Se la persona non capisce che deve curarsi, perché l’anoressia provoca anche questo, va obbligata anche se ha più di 18 anni». L’ordinamento prevede il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, ma a detta di molte famiglie che vivono questa esperienza, non serve a un granché: funge da salvavita, ma poi ci si ritrova punto a capo e senza un servizio dedicato, poi non si sa dove rivolgersi.
«In questi anni così duri per noi – concludono i Fregonese – abbiamo incontrato tante persone alle prese con il nostro stesso dramma. Vorremmo tanto che la tragica morte di nostra figlia diventasse l’occasione perché a Mestre fosse fatto un passo in avanti in termini di servizi pubblici, con professionalità e cure specifiche per i disturbi alimentari». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino