VENEZIA/PADOVA - Dopo la rottura della relazione, anni di scontro giudiziario per l’affido. Non del figlio, come spesso tristemente succede, bensì del cane, il che...
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LA PROPRIETÀ
Tutto comincia alla fine del rapporto sentimentale, quando la donna chiede al Tribunale di accertare la sua qualità di comproprietaria dell’animale acquistato nell’ultimo periodo, nonché il suo affidamento e il risarcimento dei danni «emotivi e patrimoniali» patiti con la separazione. Nel 2021 il giudice stabilisce che la proprietà è dell’uomo, ma riconosce all'ex moglie il diritto alla frequentazione del cane, «nell’interesse dell’animale».
A quel punto lui impugna la decisione davanti alla Corte d’Appello di Venezia, che nel 2022 riforma parzialmente la sentenza di primo grado, negando l’esistenza di «un legame affettivo stabile» fra lei e la bestiola. La donna va così in Cassazione, sostenendo che i magistrati lagunari avrebbero erroneamente escluso il suo diritto di proprietà senza accogliere la sua richiesta di essere interrogata per poter dimostrare le proprie ragioni.
IL RAPPORTO
Secondo la Suprema Corte, invece, i giudici di secondo grado hanno correttamente valutato che la proprietà «è pacificamente da ricondurre» all’uomo, come comprova la «copiosa documentazione» riguardante l’acquisto dell’animale, la sua assicurazione, le numerose ricevute per le prestazioni veterinarie, mentre i documenti depositati dalla sua ex «si limitano a rappresentazioni fotografiche del cane», che tuttavia «non sono in grado di scalfire quanto risulta provato» da lui. Ma lei non si rassegna e appunto lamenta anche la mancata valutazione della sussistenza «di un rapporto tra le parti qualificabile come coppia di fatto», in cui si sarebbe costituita una relazione di affetto pure con il quadrupede.
Anche la Cassazione, però, reputa che non sia stata provata «l’instaurazione di un rapporto significativo tra la ricorrente e il cane, vista la breve relazione sentimentale che l’aveva legata al suo padrone». A questo proposito viene infatti ricordato che la frequentazione fra la donna e l’animale è durata «circa 4 mesi», dopodiché la storia d’amore fra i due umani è terminata, ma in ogni caso la donna non ha dimostrato che, «nonostante il breve periodo, si sia instaurato con l’animale un rapporto tale da far presumere che le possa essere riconosciuto un diritto di visita».
LE SPESE
Dunque alla fine il cane rimane a lui. Lei ottiene tuttavia una sostanziosa riduzione delle spese di giudizio. Per gli “ermellini”, la somma liquidata a Venezia «è eccessiva, perché superiore ai valori massimi di tariffa»: 18.000 euro per il primo e per il secondo grado. Secondo la Cassazione ne possono bastare in tutto 6.000. Quanto agli oneri del terzo grado, dovranno essere equamente divisi a metà fra le due parti, possibilmente senza litigare pure su questo.
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Il Gazzettino