Crisanti: «Tamponi, il mio studio? Clementi mente. Non ha mai fatto alcuna revisione»

Andrea Crisanti
Le dichiarazioni di Massimo Clementi al Gazzettino hanno fatto infuriare Andrea Crisanti. «Ho letto con vivo sconcerto l'intervista, perché lo scritto in oggetto...

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Le dichiarazioni di Massimo Clementi al Gazzettino hanno fatto infuriare Andrea Crisanti. «Ho letto con vivo sconcerto l'intervista, perché lo scritto in oggetto non è stato mai, mai, mai dato a referee», afferma l'ormai ex microbiologo dell'Università di Padova. Il riferimento è alla revisione dei pari, che il fondatore della Società italiana di virologia aveva spiegato di aver svolto sulla prima versione dello studio sui tamponi rapidi, definendola «imbarazzante».


Com'è andata allora?
«Abbiamo interpellato degli editori, per chiedere se erano interessati all'argomento. Ci hanno detto di no. L'unica rivista che l'ha mandato ai referee è Nature Communications. Però, attenzione: in una delle intercettazioni di Luca Zaia si legge che la Regione, Zaia stesso, ha chiesto a Clementi di commentare il manoscritto e quei commenti sono stati allegati alla famosa denuncia-esposto. Mi prendo la responsabilità di quello che dico: Zaia è molto contento, nella conversazione registrata con Roberto Toniolo (il dg di Azienda Zero, ndr.), che Clementi si sia espresso in maniera negativa».
Come valuta quel giudizio?
«Lui può dire quello che vuole, ma Nature Communications è un fior fiore di rivista. I risultati che stanno sul pre-print (la versione precedente alla pubblicazione definitiva, ndr.) sono gli stessi che stanno su Nature Communications. L'unica differenza è che abbiamo aggiunto il modello matematico».
Ma non è scomparso il nesso fra test rapidi e mortalità?
«Nel pre-print non li avevamo mai messi in connessione: avevamo solo commentato che la Regione che ha fatto questa cosa, ha avuto una delle mortalità più alte, basta. Invece nel paper di Nature c'è il nesso causale, perché il modello matematico dimostra chiaramente che l'utilizzo dei tamponi ha permesso la diffusione di varianti che erano invisibili a questi test, quindi ha contribuito ad aumentare l'incidenza e la mortalità è una funzione dell'incidenza. È così, se la devono mettere in tasca».
Perché allora Clementi dice di essere stato un peer reviewer?
«Bisognerebbe chiederlo a Clementi, anzi, gliene chiederemo le prove. E poi come fa a sostenere che i revisori finali erano dell'Imperial College? Non posso saperlo nemmeno io chi sono: erano quattro e anonimi».
Clementi ha pure segnalato la sua incompatibilità nelle commissioni, ma ha assicurato che non c'è acredine.
«Non commento, penso che gli atti si commentino da soli. Della mia uscita non mi importa nulla. E confermo anche le mie dimissioni dall'Università».
Cosa avrebbe fatto, a fronte di una capacità massima di 23-24.000 test molecolari al giorno, per tamponare altre decine di migliaia di cittadini?
«Se mi avessero dato retta, invece di seguire le affermazioni di Roberto Rigoli, uno che a giugno diceva che il virus era morto, avrebbero dovuto potenziare la capacità di fare i molecolari. Si sarebbe potuti arrivare tranquillamente a 400-500.000 tamponi in tutta Italia. Macchine e reagenti? A maggio-giugno non mancava nulla».
Quando e perché si è rotto l'asse Crisanti-Zaia?
«Sicuramente, come dice giustamente Zaia, a un certo punto io ho cominciato a criticare perché stavano a sbajà... molto semplice. Per esempio il Cts, a maggioranza, ha chiesto di cambiare le direttive sui tamponi rapidi ed è stato completamente ignorato. Allora ho pensato: a questo punto mi disinteresso».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il suo attacco a Francesca Russo?
«Potrebbe essere, non lo so».
Sta meditando azioni legali?
«Ci devo pensare. Non sapevo nulla di questa cosa, sono stato informato da Report».
I maligni dicono che sia stato lei a divulgare le carte.
«Chi dice una cosa del genere, mente. E si becca una querela».
Cosa le resta di questi anni?
«La mancanza di coraggio delle proprie idee da parte delle persone. Non sono abituato».
Tornerà a Padova?

«Guardi che io sono a Padova: non me ne vado. Anzi: non dia false speranze». E ride.

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Il Gazzettino