Per 15 anni lavorò a contatto con l'amianto in ospedale, poi morì: maxirisarcimento

Per 15 anni lavorò a contatto con l'amianto in ospedale, poi morì: maxirisarcimento
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SAN VITO - Si è occupato per 15 anni, dal 1973 al 1988, della manutenzione all'ospedale di San Vito. Tra tubature e caldaie coibentate, tutte rivestite di cemento-amianto, i suoi polmoni si sono ammalati: mesotelioma-pleurico. È una diagnosi che equivale a una condanna di morte e che continua ad accomunare tanti operai friulani. Il Tribunale di Pordenone ha stabilito che la sua famiglia va risarcita, quantificando per la vedova e i due figli poco più di un milione di euro: 342.662 euro ciascuno maggiorati del tasso più favorevole tra interessi e rivalutazione. È una tra le poche sentenze del genere nel Friuli Occidentale ed è stata emessa dal giudice del lavoro Angelo Riccio Cobucci nei giorni scorsi.

 
Il manutentore dell'ospedale di San Vito aveva scoperto di avere il mesotelioma nel gennaio 2013, sette mesi dopo è mancato all'età di 71 anni. La perizia medico legale ha stabilito una correlazione tra il decesso e il mesotelioma: l'uomo era vittima dell'esposizione all'asbesto. La perizia tecnico-ambientale ha confermato che tubature e caldaie dell'ospedale di San Vito erano coibentate con il cemento-amianto, gli stessi scalda vivande avevano i pannelli dello stesso materiale. I colleghi di lavoro hanno infine confermato che non vi era alcun presidio a tutela della salute: si lavorava con la tuta blu, senza mascherine o altre protezioni. Durante quei 15 anni il 71enne aveva pertanto respirato fibre d'amianto.
A sostenere la famiglia nella causa civile sono stati gli avvocati Paola Giorgi e Francesco Gasparinetti. La controparte era rappresentata dalla Regione Fvg, perchè l'allora Unità sanitaria locale non esiste più. In base a una norma speciale, infatti, in questi casi è la Regione a rispondere attraverso la direzione generale dell'attuale Azienda sanitaria. Quest'ultima aveva chiamato in causa due compagnie d'assicurazione, ma il giudice ha respinto le chiamate per carenza di copertura assicurativa. In ogni caso, il manutentore era stato assicurato per gli infortuni, non per eventuali malattie professionali.

La Regione si è difesa ricordando che all'epoca non vi era alcun divieto circa l'utilizzo dell'amianto. «Ma è dai primi del 900 - spiegano allo studio legale Giorgi-Gasparinetti - che è nota la pericolosità di questa sostanza». Nel caso del 71enne l'evoluzione del male era stata velocissima e lui affrontò le sofferenze coscientemente. È per questo che il giudice, oltre al danno morale, ha riconosciuto anche il danno terminale, il quale ricomprende ogni sofferenza fisica e psichica patita dalla vittima che ha avuto il tempo di avere piena consapevolezza della grave compromissione del suo stato fisico e della fine imminente. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino