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VENEZIA - «Dicono che è fallito il modello regionale? Quello veneto no di certo, in tre anni dopo la tempesta Vaia abbiamo realizzato opere per un miliardo di euro, il problema semmai riguarda le procedure. Perché non è possibile che per togliere tre alberi pericolanti serva il nullaosta del ministero della Cultura». Gianpaolo Bottacin, assessore all'Ambiente e alla Protezione Civile della Regione del Veneto, risponde così alle indiscrezioni che arrivano dalla capitale per la gestione delle emergenze. L'idea che sta prendendo piede a Roma è di una task-force centrale, sulla falsariga di quella istituita dal governo Renzi con il piano "Italia Sicura" e poi sacrificata sull'altare dello "spoil system" grillino. Soprattutto per quanto riguarda i fondi, nel centrodestra - soprattutto tra i meloniani - starebbe prendendo piede il convincimento di una gestione centralizzata, tanto più che la Corte dei Conti ha più volte acceso i riflettori sull'incapacità delle Regioni di mettere a terra i fondi contro il dissesto idrogeologico. Tanto per fare un esempio, nella programmazione 2014-2020 dei Fondi di sviluppo e coesione tra le Regioni, solo un euro su quattro è stato utilizzato. Ma tutte le Regioni o solo alcune?
LA PUNTUALIZZAZIONE
Da Venezia, l'assessore Bottacin puntualizza: «A me pare che il ministro alla Protezione Civile, Nello Musumeci, abbia detto una cosa diversa e cioè che lo Stato non può girarsi dall'altra parte se le Regioni non fanno il loro mestiere. L'intervento "centrale", dunque, non sarebbe per le Regioni che lavorano e lavorano bene.
GLI INTERVENTI
Intanto gli uomini della Protezione Civile del Veneto - circa 400 volontari oltre a tecnici e dirigenti regionali - stanno dando una mano agli alluvionati dell'Emilia-Romagna. «Stiamo operando in 6 Comuni, la situazione più pesante è a Solarolo dove è saltata la rete idraulica e non hanno acqua neanche per fare un caffè», hanno detto Bottacin e il direttore della Protezione Civile regionale Luca Soppelsa. Quanto alle opere contro il dissesto idraulico in Veneto, gli interventi già realizzati hanno dimostrato di funzionare. Basti confrontare le quantità di acqua cadute dopo l'alluvione del 2010: allora il picco fu di 297 millimetri in 24 ore e tra Padova e Vicenza ci fu il disastro; nel 2018, con Vaia, a Soffranco vennero contati 329 millimetri, nel 2019 296, nel 2020 345.
«L'ingegner D'Alpaos - rimarca Bottacin - ha detto che il Veneto è stato un precursore nella mitigazione del rischio con il Piano redatto dopo l'alluvione del 2010. Quel piano, che porta il suo nome, prevede opere per 3,5 miliardi di euro e ne abbiamo realizzate per un miliardo e mezzo, siamo al 40% degli interventi. E questo tenuto conto anche delle difficoltà nel reperire i tecnici: per Vaia con oltre 2mila cantieri mancavano i progettisti». Dei previsti 23 bacini di laminazione - le cosiddette casse di espansione - quattro sono già collaudati (Timonchio-Caldogno, Trissino a monte, Colombaretta, Borniola), altri quattro sono operativi anche se mancano delle «finiture» (Muson dei Sassi, Viale Diaz a Vicenza, Trissino a valle, Orolo), mentre sta per partire l'ampliamento del bacino di Montebello, l'unico preesistente (è del 1926). «Ma non ci sono solo i bacini di laminazione - sottolinea Bottacin -: abbiamo investito anche 400 milioni per consolidare gli argini e 320 milioni per le manutenzioni». La sfida, ora? A detta della Regione, semplificare le procedure. Ma questo dipende dallo Stato.
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Il Gazzettino