GEMONA DEL FRIULI (UDINE) - «Suo figlio le aveva dato e continuava a darle dei pensieri. A suo tempo l’avevo vista piangere». Dice così uno dei colleghi che lavoravano all’ospedale di Gemona del Friuli con Lorena Venier, l’infermiera di 61 anni che ha confessato di aver ucciso il figlio Alessandro, di 35 anni. «Lorena è una persona molto stimata in azienda e fra i colleghi ed è molto sensibile». Il sanitario (che chiede di restare anonimo) ricorda bene quelle lacrime di qualche tempo fa. «Risentiva di un rapporto con il figlio abbastanza combattuto, credo. Ma lei è molto riservata e non porta i problemi personali nell’ambiente di lavoro. Suo figlio, però, a quanto ho capito, doveva darle dei problemi da tantissimo tempo. Sembra fosse un tipo irrequieto. Le dava dei pensieri, anche perché non aveva un lavoro fisso. Di violenze, con noi Lorena non aveva mai parlato. Ultimamente, non so. L’avevo vista felice dopo la nascita della nipotina, sei mesi fa. Finalmente, questo forse poteva far pensare che il ragazzo si fosse tranquillizzato. Alla notizia della nascita della piccola, le avevo fatto i complimenti per essere diventata nonna».
Lorena Venier al lavoro dopo aver ucciso il figlio Alessandro, i colleghi dell'ospedale: «Suo figlio le dava pensieri. L’avevo vista piangere»
In corsia
E Lorena Venier avrebbe continuato a lavorare anche dopo l’omicidio di cui si è auto-accusata, che sarebbe avvenuto il 25 luglio: si sarebbe presentata in servizio fino alla sera prima del ritrovamento del corpo fatto a pezzi del figlio, nascosto nella calce viva in un bidone, nell’autorimessa della villetta di famiglia, in via dei Lotti, nel piccolo borgo di Taboga di Gemona, non lontano dalla statale Pontebbana. Il collega di Lorena racconta di averla incontrata «un paio di giorni fa» in ospedale. «L’ho salutata, sembrava tutto normale. L’ultima volta che l’ho vista, non ricordo cose particolari. Ma lei è una persona molto riservata. Sempre gentile e cordiale, molto ligia al lavoro. In passato aveva anche fatto da formatrice per gli operatori sociosanitari. Ha un notevole aspetto empatico e un gran rispetto per il paziente, di qualsiasi colore o religione sia. Sul lavoro predica sempre rispetto. È sempre stata corretta con tutti. E non sono frasi di circostanza, io la conosco da vent’anni». Il collega la descrive come «una grandissima professionista, molto semplice e molto diretta, anche nelle relazioni con i colleghi. Ha sempre preteso anche dagli altri sanitari il massimo rispetto nei confronti dei pazienti. Ci teneva fortissimo al “Buongiorno”». Qualche tempo fa, Lorena aveva ottenuto un notevole dimagrimento rispetto al passato, quando era sovrappeso, come testimoniano anche le foto del suo profilo Facebook, fra vacanze a Barcellona con le amiche e ritratti della madre scomparsa, del figlio Alessandro e dei suoi amati animali. «Un giorno l’ho incontrata e aveva perso molti chili. Un cambiamento notevole, che di per sé sembrava già una rinascita», racconta il sanitario. Il ritratto che lui traccia fa il paio con quello raccontato dai vicini di casa: una donna posata, responsabile, stimata. E neanche il collega, come gli abitanti di via dei Lotti, riesce a capacitarsi dell’orrore che si è consumato in quella villetta. «Questa cosa mi ha choccato, e con me tutti i colleghi. Siamo rimasti increduli. Poi, gli inquirenti faranno il loro lavoro e appureranno com’è andata. Ma io, che la conosco da vent'anni, non la ritengo capace di fare una cosa del genere (la donna, però, come confermato dal suo legale, ha confessato ndr). E penso non solo all’omicidio ma anche a tutto l’accanimento sul corpo del figlio. Non riesco ancora a capacitarmene. Sul lavoro, Lorena non è mai andata oltre nei toni. Ha sempre avuto buone maniere con tutti. Alla notizia di quanto era successo, mi è venuto da piangere».
Alessandro Venier fatto a pezzi e nascosto in un bidone, il sindaco: «Un fatto gravissimo. Ci stiamo occupando della figlia neonata»
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino