Alessandra, medico: «Io, 30 anni alla guida di Sant'Egidio, il sogno è iniziato al liceo»

Alessandra Coin
PADOVA Il sogno è iniziato trent'anni fa. Condiviso con i compagni del liceo Fermi. E adesso è ancora lo stesso. Inseguito con 300 amici. Un piccolo esercito...

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PADOVA Il sogno è iniziato trent'anni fa. Condiviso con i compagni del liceo Fermi. E adesso è ancora lo stesso. Inseguito con 300 amici. Un piccolo esercito della solidarietà, quindi, che combatte povertà ed emarginazione. Alessandra Coin, 50 anni, medico geriatria dell'Azienda Ospedaliera, infatti, a settembre del 1991 aveva avviato Padova la Comunità di Sant'Egidio, di cui oggi è responsabile veneto, per mettere a disposizione dei bisognosi aiuti, sostegni, ma anche affetto e sorrisi, dispensati partendo dalle periferie, termine introdotto ora pure da Papa Francesco, ed esportati poi ovunque ci sia sofferenza causata da indigenza, ingiustizie, guerre, diritti calpestati, o dalla solitudine.


Dottoressa Coin, come avete iniziato?
«Eravamo un gruppo di ragazzi e che stava per entrare all'Università e io avevo scelto Medicina. Siamo venuti a conoscenza dell'impegno di Sant'Egidio e ne siamo stati attratti, tanto da decidere di vivere questo spirito. Ci ha colpito l'idea di un Cristianesimo che si confronta con i bisognosi, di un Vangelo vissuto nelle periferie. E il sogno di un mondo migliore, giusto, solidale e inclusivo è iniziato. Partendo dalla nostra città, ma guardando agli orizzonti del mondo».
A lei quale luogo destava le suggestioni maggiori?
«Sicuramente l'Africa, che coincideva con il desiderio di guardare oltre i nostri confini. Ma poi con gli altri membri della comunità siamo andati in Albania, in Bosnia, dove c'è il dramma dei profughi, molti dei quali afghani e pakistani. Si tratta di 1500 persone, che vivono al freddo, senza nulla, alle porte di casa nostra: portiamo loro berretti, sciarpe, coperte, guanti, calzettoni per l'inverno, e magliette d'estate. Sono bloccati al confine con la Croazia, respinti e percossi se provano a varcarlo. Ci sono famiglie con bambini, giovani di vent'anni, e persino una mamma di 29, con il marito e 4 figlioletti, fuggita da Kabul perchè i talebani non volevano che insegnasse. E noi di Sant'Egidio in coltiviamo il sogno di aprire un corridoio umanitario per le situazioni di grande vulnerabilità».
Qual è il lavoro che fate invece in città?
«Aiutiamo anziani, poveri, senza fissa dimora, bambini e famiglie. Ogni persona va ascoltata, creando fili di amicizia che si intrecciano, dando vita a relazioni stabili, vissute con pienezza. Possono essere instaurate, per esempio, con un anziano solo, che finalmente sente qualcuno che bussa alla sua porta, o che gli telefona per sapere come sta». 
E poi ci sono le iniziative comunitarie.
«Sì, e non a caso icona del senso di servizio di Sant'Egidio è il pranzo di Natale. Abbiamo cominciato 30 anni fa con 5 invitati, che sono diventati poi 10, 20 e adesso siamo a 500. Sono momenti indimenticabili, di grande gioia».
C'è una storia che in questi 30 anni l'ha colpita?
«Sì. La vicenda di un'amica anziana mi è rimasta nel cuore. Mary, purtroppo è mancata nel 2020, ma abbiamo avuto il privilegio di starle accanto sino alla fine, dando e ricevendo amore. Ci era stato segnalato il suo caso nel Duemila: aveva 67 anni e viveva sola e in povertà. Emarginata da sempre, era la tredicesima figlia ed era stata messa in orfanotrofio, poi sfruttata e costretta a prostituirsi. Abitava in una casa popolare e non aveva nulla. Con noi ha vissuto una sorta di rinascita alla vita ed è morta quasi novantenne, accudita e amata. Nell'ultimo periodo aveva perso l'autonomia e si spostava in carrozzina. Le abbiamo trovato una badante, e il sabato e la domenica veniva a pranzo con noi. I miei figli, che hanno 12 e 15 anni, non vedevano l'ora accompagnarla a Messa e poi di andare da McDonald's con questa nonna. Con lei abbiamo vissuto una grande storia d'amore».
Sono numerosi a Padova gli anziani soli?
«Sì, e a volte non si tratta di indigenti. Noi andiamo a trovarli e la visita rappresenta il cuore dell'amicizia, che fa rinascere le persone. E ogni estate organizziamo una settimana di vacanza con loro. Io ho sempre portato i figli, i quali sono entusiasti di condividere tombolate, feste e gite».
E poi ci sono le missioni oltre confine.
«Certo, e cito di nuovo quelle quelle sulla rotta balcanica dove le persone hanno capito che con Sant'Egidio si può sperare sempre, anche quando la tentazione di rassegnarsi è forte. Noi preghiamo, perchè la preghiera è una forza debole che può cambiare la storia, e perché la Parola di Dio aiuta a trovare soluzioni, come è accaduto per esempio in Africa durante la lotta all'Aids: le terapie in Occidente erano state trovate, ma lì non arrivavano. Ed è stato grazie a noi, poi, che le cure sono state introdotte con risultati straordinari».
Quali sono i progetti per Padova?

«Vorremmo che diventasse una città a misura di tutti. Intanto stiamo per avviare la terza esperienza di co-housing, dove anziani che non possono vivere da soli vanno ad abitare insieme. Le domande sono tantissime, la necessità di fare famiglia è diffusa, perché la fine della vita non sia all'insegna della solitudine, ma dell'amicizia. E poi auspichiamo che continui a ripetersi il miracolo di avere tanti giovani e adulti che si avvicinano alla nostra comunità e al Vangelo, spinti dal sogno di fare del bene».


      
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Il Gazzettino