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«Alberto Filippi ha demolito tutte le accuse e la credibilità del pentito che lo ha infangato. Ha portato prove assolute», assicura l'avvocato Cesare Dal Maso. «A questo punto, abbiamo la ragionevole presunzione che ci sarà una richiesta di archiviazione da parte della stessa Procura» aggiunge l'altro difensore, l'avvocato Renzo Fogliata. Il giorno dopo l'interrogatorio fiume dell'imprenditore vicentino, ex senatore della Lega, la sua difesa canta vittoria. Per oltre undici ore (dalla mattina fino alle 22 e 40 di sera) Filippi ha risposto alle domande dei due sostituti procuratori dell'Antimafia, Stefano Buccini e Lucia D'Alessandro, che lo hanno indagato come mandante di un paio di presunte ritorsioni affidate agli uomini della ndrangheta veneta.
Ad accusarlo Domenico Mercurio, pentito del clan Giardino, secondo cui Filippi, patron dell'Unichimica, avrebbe commissionato sia i colpi di pistola sparati a Padova, nel 2018, contro l'abitazione del giornalista del Gazzettino, Ario Gervasutti, colpito per aver pubblicato alcuni articoli scomodi quando dirigeva il Giornale di Vicenza; sia il rogo appiccato, qualche tempo prima, a un'azienda veronese rivale.
DIFESA PUNTO SU PUNTO
«Filippi si è difeso con forza, decisione e rabbia da queste accuse infamanti - riferisce l'avvocato Dal Maso -. Ha ripercorso parola per parola, circostanza per circostanza, portando prove inconfutabili». Le motivazioni che avrebbero spinto Mercurio a coinvolgere Filippi sarebbero legate a un credito da 400mila euro che l'ex senatore aveva ceduto a una società del calabrese che contava di compensare con dei lavori edili molto più ingenti da realizzare in una villa dello stesso Filippi. Poi però Mercurio era stato arrestato, l'affare era sfumato e di questo incolpava Filippi. Di qui l'idea di rovinarlo con accuse che avrebbero anche accreditato Mercurio come pentito in grado di coinvolgere nomi di politici. La stessa fattura da 25.000 euro, indicata come prova del pagamento per l'agguato a Gervasutti, farebbe parte di una serie di pagamenti per i lavori in villa.
Contestata anche l'accusa relativa al rogo nell'azienda, che non sarebbe una rivale e su cui sarebbero stati forniti dettagli tutti sbagliati. Questa la ricostruzione della difesa che già immagina di «chiedere i danni a chi ha infangato l'imprenditore» annota l'avvocato Dal Maso. Ora il pallino torna all'Antimafia, che dovrà trarre le sue conclusioni. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino