Albergatori: «Concorrenza sleale degli agriturismi. Ci tolgono personale, clienti e cerimonie»

Battaglia sul turismo in particolare nelle zone collinari e in Pedemontana. A parlare sono i vertici di Fipe e Federalberghi Dania Sartorato e Giovanni Cher

Un agriturismo generico
TREVISO - Malumori degli albergatori sugli agriturismi. Ristorazione, convivialità e turismo sono ai blocchi di partenza e i segnali primaverili sono confortanti,...

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TREVISO - Malumori degli albergatori sugli agriturismi. Ristorazione, convivialità e turismo sono ai blocchi di partenza e i segnali primaverili sono confortanti, le persone hanno voglia di tornare a viaggiare, a scoprire posti nuovi e la sola provincia di Treviso muove un turismo interno qualificato. 

Turismo che però, come sottolineato dai vertici degli albergatori, risente della concorrenza sleale di agriturismi e agrialloggi. In particolare nelle zone collinari e in Pedemontana.

A sottolineare questa problematica sono i presidenti delle due categorie provinciali coinvolte, Fipe e Federalberghi Confcommercio, rappresentanti rispettivamente da Dania Sartorato (Fipe) e Giovanni Cher (Federalberghi): «Il periodo di Pasqua e dei vari ponti ha avuto una bella impennata, il Giro d’Italia ci ha proiettato in una dimensione internazionale. Ora è importante arrivare presto alla nuova legge regionale che pone i giusti paletti ad un mercato che, di fatto, rappresenta un vero e proprio indotto parallelo a quello della ricettività e della ristorazione».

Alcuni dati su alberghi e agriturismi del trevigiano

I numeri parlano chiaro: in provincia di Treviso ci sono 1.180 attività di alloggio e ristorazione connesse alle aziende agricole, quasi un terzo del totale del Veneto: 4.400. La densità maggiore è nei comuni di  Valdobbiadene (130) Vittorio Veneto (70) e Montebelluna (60), chiaramente riconducibili alla bellezza naturalistica delle Colline Unesco, dell’Asolano e della Pedemontana.

«La concorrenza del mercato - secondo Confcommercio – diventa “sleale” perché una consistente quota di queste strutture, che secondo gli intenti iniziali, avrebbero dovuto nascere come strutture complementari per integrare il reddito agricolo, di fatto fanno turismo e ristorazione a tutti gli effetti, eludendo gli obblighi fiscali e i paletti previsti dalla normativa rispetto alla quota di utilizzo di prodotti del fondo agricolo, al numero di posti, alle giornate di apertura, all’organizzazione di eventi e cerimonie. E ora la concorrenza si sposta anche sul personale quasi introvabile nei week end, sulla consegna a domicilio e addirittura sui catering. Un mercato parallelo che fattura milioni di euro e che altera gli equilibri di un comparto che sta per ripartire dopo la pandemia».

Su alberghi e agriturismi c'è una legge regionale che cerca di conciliare le varie posizioni

La legge regionale è un iter che, da anni, cerca di conciliare posizioni contrastanti attraverso successive elaborazioni. 

«Ad oggi - confermano Dania Sartorato e Giovanni Cher – aspettiamo l’accoglimento delle nostre osservazioni, peraltro già limate nel corso degli anni. Con una media di 57 posti letto per hotel di certo non possiamo accettare oltre i 45 posti letto per struttura, e la quota di prodotti non derivanti dal fondo agricolo (quindi acquistabili sul libero mercato) rischia di passare dal 35% al 50%. Abbiamo accettato che gli agriturismi facciano delivery ma non catering. E poi la tassazione: uguale per tutti. Dobbiamo contare su regole certe e sul rispetto. Stesso mercato, stesse regole: solo così possiamo difendere la qualità della ristorazione».

La richiesta arriva all’indomani della firma della “Carta di Cison” sul turismo delle zone Unesco, che pone come centrale e giusta la sostenibilità come valore ispirante e linea guida del nuovo turismo.

«Se la sostenibilità – concludono Cher e Sartorato – è la strada giusta e obbligata per tutti, questa deve poggiare prima di tutto un impianto legislativo sicuro e non aggirabile, oltre che su comportamenti rispettosi dell’ambiente e dei colleghi che ogni giorno lavorano, producono e si assumono il rischio imprenditoriale». 

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Il Gazzettino