Il dolore di Monica Sandri: «Venti anni di lavoro e speranze in Afghanistan, tutto perduto»

Monica Sandri a un raduno di capivillaggio in Afghanistan
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ROVIGO - «Ricordo che non c’erano macchine per strada. Le strade erano vuote, Kabul era una città totalmente distrutta. Ma non l’avevano distrutta i talebani, l’avevano distrutta i signori della guerra - rappresentanti di varie tribù in conflitto - che da una collina all’altra si davano battaglia per la conquista di Kabul dopo l’uscita dei Russi dal paese. E poi c’era una povertà incredibile». Monica Sandri, rodigina, ha fatto dell’Afghanistan e, in particolare, di Kabul la propria casa per quasi 20 anni. In quella città, che oggi ha i riflettori di tutto il mondo puntati addosso e che il ritiro delle truppe americane ha fatto ricadere nelle mani dei talebani, Monica ha operato in prima fila mettendo a punto missioni ed organizzando progetti di assistenza ed aiuto alla popolazione locale, anche rischiando la propria vita, lavorando “boots on the ground”, stivali a terra, come dicono gli statunitensi.



NAZIONI UNITE
Per anni è stata una rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati proprio in Afghanistan, a partire dal 2001, poche settimane dopo l’attentato dell’11 settembre alle Twin towers di New York. Ed è dalle sue parole, dal racconto della sua storia in quel Paese, che ci si può rendere conto del dramma che lo ha travolto. «Quando c’è stato l’11 settembre – racconta Monica Sandri – facevo parte di un roster di emergenza per cui sono stata immediatamente allertata per partire, in concomitanza con l’intervento americano in Afghanistan dopo l’attentato alle Torri gemelle, perché si presumeva ci sarebbe stato un esodo di rifugiati verso il Pakistan e l’Iran. Ero in contatto con Ginevra, in attesa della mia partenza, ma i rifugiati afghani non arrivavano o, comunque, ne arrivavano pochissimi perché le frontiere erano chiuse. Ricordo di aver passato le giornate ad aspettare la chiamata che non arrivava. Poi, il 16 novembre 2001 l’Alleanza del nord è entrata a Kabul. E il 17 novembre, alle 5 del pomeriggio, mi è arrivata la mail da Ginevra che mi comunicava di essere stata assegnata proprio a Kabul. Questa cosa mi sembrò stupenda. Quando l’ho detto a mia mamma è sbiancata ma l’ho subito rassicurata: quando tutta l’attenzione dei media è concentrata in un determinato posto, quel posto è il più sicuro della Terra. Non pensi che possa succedere qualcosa di brutto».

KABUL 2001

Aggirato l’ostacolo di ottenere un visto per l’Afghanistan, «operazione praticamente impossibile – ricorda – allora l’ho chiesto per il Pakistan», e superato anche lo scoglio della disponibilità dello slot per l’Afghanistan «perché c’era la possibilità di avere a Kabul al massimo 20 internazionali delle Nazioni Unite, non di più, per questioni di sicurezza», Monica Sandri il 1° dicembre 2001 è arrivata ad Islamabad ed il 3 dicembre ha raggiunto Kabul. «Dovevo restare 3 mesi – continua – e invece, alla fine, sono rimasta 20 anni. Oddio, non esattamente 20, ma dal 2001 al 2012 ci sono stata ininterrottamente, cambiando anche lavoro nel frattempo, perché volevo restare in Afghanistan».

IL CAMBIAMENTO
La storia recente del Paese che oggi ha i riflettori di tutto il mondo puntati addosso, Monica Sandri l’ha dunque vissuta in prima persona: «Ho vissuto la fase post talebani, il governo di transizione e poi le elezioni e i governi di Karzai e di Ghani. Ho voluto restare perché è un Paese che ti prende, per la cultura, la gente, l’ospitalità. E poi sono persone di grande resilienza, resistenti in maniera incredibile. Ho trovato affascinante vedere come, passo dopo passo, progrediva la loro storia. Io sono arrivata dicembre 2001 quando cominciavi a sentire la musica per le strade, quando è stato tolto il coprifuoco che per noi era alle 18 mentre per i nazionali a mezzanotte, quando le prime donne cominciavano a ritornare negli uffici».

LA SPERANZA



La curiosità di vedere come cambiava sotto ai propri occhi la società che a fatica si stava riprendendo dal regime talebano instauratosi nel 1996 ha spinto Monica a restare nel Paese e tanta è stata poi la delusione quando lo scorso 15 agosto i talebani hanno ripreso Kabul: «Io ero tra i privilegiati, sapevo che quella non era la mia guerra e che avrei potuto tornare a casa quando volevo. Per loro afghani non è così. Quelle famiglie sono state le famiglie che mi hanno accolto, che si sono prese cura di me e hanno lavorato con me. Quanto è alta la speranza tanto è grossa la delusione: quando nel 2001 sono arrivata, c’era una enorme speranza di poter cambiare la storia non solo di quel Paese e di renderlo migliore ma anche la storia del mondo, per renderlo più giusto e più equo». Ora, quella speranza non c’è più.
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Il Gazzettino