Salva tre bambini scampati agli attentati di Kabul: «Li crescerò liberi, ma ci serve aiuto»

Rahimi Saif Rahman
PADOVA - «Spero che questi bambini possano avere una vita migliore, studiare e diventare tutto ciò che desiderano. E che possano riabbracciare il resto della famiglia...

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PADOVA - «Spero che questi bambini possano avere una vita migliore, studiare e diventare tutto ciò che desiderano. E che possano riabbracciare il resto della famiglia in un mondo giusto e libero». Ha solo 27 anni Rahimi Saif Rahman, approdato a Padova nel 2010 dopo essere fuggito dall’Afghanistan. Qui ha costruito una famiglia con la moglie 23enne, ha un lavoro al Ristorante pizzeria Pontecorvo e un bimba di 10 mesi. Da martedì nel loro piccolo appartamento a Santa Rita la coppia però ha accolto anche le due sorelline e il fratellino della donna, reduci da un tremendo e incredibile esodo da Kabul.

IL TERRORE

I tre bambini (11, 10 e 8 anni) sono scampati alla violenza talebana, ma in Afghanistan restano ancora nascosti e in cerca di salvezza il fratello 17enne, la madre e il padre, ex collaboratore delle forze occidentali. «Il giorno degli attentati all’aeroporto stavano per salire in aereo –racconta Rahimi–. Al varco d’ingresso sono passati prima i tre bambini. Poi, quando toccava al fratello e ai genitori, è esplosa una bomba accanto a loro. Nel caos, si sono divisi. Gli americani hanno preso i bambini, gli altri sono rimasti feriti e sono finiti all’ospedale».
Il seguito è una storia di istinto di sopravvivenza e tenacia. «Quel pomeriggio ho sentito il padre di mia moglie –aggiunge Rahimi–, non sapevano se i bimbi fossero vivi o morti. Io ero disperato, volevo piangere e urlare, ma non volevo sconvolgere mia moglie. Sono stato fuori per ore, al telefono. I piccoli per fortuna erano vivi e uno di loro è riuscito a far chiamare il padre. Lui era ferito a una gamba, il figlio maggiore a una spalla, la moglie era in stato di choc, ma sono dovuti fuggire dall’ospedale e sono ancora nascosti, altrimenti i talebani li avrebbero uccisi. Tramite contatti sono riuscito a far avere ai bambini il mio numero e ho parlato con un interprete, scoprendo che erano diretti in Qatar».

L’ARRIVO

«Ho detto loro “Chiamatemi ovunque vi portino, verrò a prendervi”» prosegue. E così è stato. «Sono riuscito ad avere una loro foto dal campo d’accoglienza e, grazie all’aiuto di Alessandro Zan, del generale Portolano e di tante altre persone meravigliose, in contatto con il Ministero della difesa e l’ambasciata italiana in Qatar, li abbiamo trovati. Siamo riusciti a farli salire su un volo e l’altro ieri sono corso a Roma a prenderli».
Ora comincia una nuova vita. «Sono spaesati, uno è rimasto leggermente ferito nell’attentato, un’altra era stata operata alla gola pochi mesi fa –spiega Rahimi–, ma stanno bene. Hanno potuto rivedere la sorella dopo quattro anni. Li ho portati dal pediatra, ora staranno in casa in isolamento ma i test Covid sono negativi. I militari hanno dato loro qualche vestito, ieri sono andato a comprargli ciò di cui hanno bisogno. Gli ho chiesto cosa volessero, mi hanno chiesto un paio di pantofole».


«La gioia è immensa, però la nostra casa è davvero troppo piccola. Per questo chiedo aiuto al Comune. Non per me, mia moglie e mia figlia, noi stiamo bene. Ma per questi bambini che meritano di poter crescere in questo meraviglioso paese che ci ha accolti e che ora è casa nostra. Voglio permettere loro di studiare, di integrarsi. Ero terrorizzato per le bimbe, so quanto il mondo possa essere atroce con le donne. Io non sono così: amo mia moglie, prima della pandemia e di rimanere incinta frequentava dei corsi di italiano, non vede l’ora di riprendere. Uomini e donne sono uguali, la libertà è un valore fondamentale. Io avevo 17 anni quando sono scappato, ma abbiamo sempre desiderato tornare in Afghanistan, aprire una nostra attività. Ora quel sogno è morto, insieme alle mie speranze. Membri della mia famiglia lavoravano per il Governo, ora sono tutti nascosti. Ho poche speranze di poterli rivedere». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino