Acc, iniziata la demolizione: a Natale il cuore aziendale batterà in Bangladesh

Lavoratori Walton Group apprendono dai dipendenti i "segreti" dei macchinari da smontare e portare via. Per la Valbelluna è la fine di un'epoca

Lavoratori del Bangladesh alla sede Acc
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BORGO VALBELLUNA - L'atmosfera è spettrale: erba che buca il cemento del piazzale, piante che si arrampicano ovunque, spazi enormi (l'azienda di compressori si estende per 42mila metri quadri) e in parte vuoti. In uno degli edifici più piccoli c'è un cartello stinto, dall'aria sinistra, con una scritta in carattere maiuscolo che recita: «CENTRALE TERMICA». Non fossimo in tempo di guerra, in epoche differenti, e non ci fosse di mezzo il nucleare, si potrebbe quasi azzardare un confronto con le immagini rimbalzate più volte dell'abbandono della centrale di Chernobyl. C'è anche un altro elemento che rimanda a quel luogo: camminando, si ha la sensazione di qualcosa di grande che un tempo trovava spazio, vita, forza e che dava da vivere a migliaia di persone. A Mel però si può respirare e non si deve camminare con lo scafandro per evitare di essere contaminati dalle radiazioni. Eppure un piccolo disastro è esploso lo stesso con la rabbia di tutte le famiglie che in quella azienda ci lavoravano e che l'hanno vista crollare anno dopo anno. A dire il vero c'è ancora un po' di vita in Acc. A partire dagli addetti alla sicurezza che controllano gli ingressi e le uscite dal sito e che distribuiscono mascherine a chi non le ha (ma se ne hai già una appesa alle orecchie te la danno lo stesso).

L'AREA OPERATIVA
Una camminata di circa 10 minuti e si raggiunge l'unica parte dell'azienda in funzione. Qui si sentono ancora le macchine sbuffare e cigolare. Le luci sono accese. Alcune persone parlano, camminano, segnano alcuni dati sui foglietti che stringono con le mani sporche. Sono alcuni operai di Acc che stanno insegnando a una ventina di persone provenienti dal Bangladesh (dipendenti di Walton Group) quali tasti schiacciare. Una specie di formazione sulla linea produttiva prima che venga smontata e portata all'estero. Quando arriverà in Bangladesh, infatti, operai e ingegneri del posto dovranno essere in grado di assemblare i pezzi e far funzionare le macchine da soli. L'organizzazione, per ora, è ottimale. I dipendenti della Walton Group si alternano e si spostano tra una macchina e l'altra. Quando avranno imparato il know how, lasceranno spazio ad altri colleghi provenienti dal Bangladesh, e così via, a scaglioni. A una settimana dal loro arrivo nel sito di Acc sono riusciti ad accendere la linea produttiva da soli. Per quanto riguarda le attività manuali ci vorrà più tempo ma hanno tutti una scolarità elevata e ci sono tanti ingegneri. L'entusiasmo è palpabile, così come la difficoltà della lingua. Anche in questo caso, però, si sono organizzati. Si parla inglese. Le macchine sono tappezzate di foglietti e scritte con le informazioni necessarie (numeri, nomi, procedimenti).

I TRADUTTORI


Chi non capisce l'italiano e nemmeno l'inglese può rivolgersi ai due traduttori che girano per l'azienda. Oltrepassando la zona viva, si raggiungono ampi spazi completamente vuoti. Sembra di essere in un supermercato senza merci e senza scaffali. Un'altra area funge da magazzino. In un'altra ancora si lavora per sistemare e portare via alcuni componenti. Si arriva così alla base operativa, il centro da cui partono le istruzioni, in cui lavorano i capi. Un dettaglio che salta agli occhi è l'età giovane dei dipendenti. «Siamo tutti young - spiega uno di loro parlando un inglese farcito di indiano - i giovani lavorano, corrono, sono forti. Ma facciamo 8 ore, non di più». Tra di loro nessuna donna: «Qualche lady arriverà la prossima settimana» aggiunge. I dipendenti di Walton Group soggiornano in due hotel del posto. Ogni giorno salgono su un autobus (preso a noleggio) e raggiungono la fabbrica. Entro qualche mese dovrebbero riuscire a sgomberare l'intera area e a portare i macchinari in Bangladesh dove dovranno poi rimontarli. «A dicembre saremo pronti per partire con la linea - spiegano -, siamo fast workers (lavoratori veloci)».

 

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Il Gazzettino