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CITTÀ DEL VATICANO Quello che è accaduto a Hong Kong non è un bel segnale per Papa Francesco: il battagliero cardinale ultraottantenne Zen Ze-Kiun, già arcivescovo nell'ex protettorato britannico e spina nel fianco del regime di Pechino, è stato arrestato dalla polizia assieme ad altri quattro attivisti, l'avvocato Margaret Ng, il cantante pop Denise Ho, l'ex deputato Cyd Ho e l'accademico Hui Po-keung. Il cardinale è stato rilasciato su cauzione.
Per tutti pesa il sospetto di avere gestito un fondo umanitario (nel frattempo sciolto) che veniva alimentato da donazioni estere e che serviva per sostenere i manifestanti anti-regime. L'accusa è di collusione con le forze straniere. Se non è uno schiaffo al Vaticano sicuramente va interpretato come un messaggio a non interferire nelle cose cinesi.
Il cardinale Zen è uno dei fiduciari della fondazione 612 Humanitarian Relief Fund nata per pagare le spese legali e mediche delle migliaia di manifestanti arrestati durante le proteste che dal 2019 vanno avanti contro la stretta anti-democratica di Xi.
Zen, voce libera e audace, non si è mai fatto intimidire, forte della sua età, della sua autorevolezza e della porpora ricevuta dalle mani di Giovanni Paolo II nel 2002 come segno di riconoscenza per il lavoro svolto a difesa della Chiesa e della libertà di religione.
Nato a Shangai nel 1932 in una famiglia cattolica, nel 1949 si fa prete con i Salesiani. È in quel periodo che assiste alla rottura delle relazioni tra la Cina e la Santa Sede, con la cacciata del nunzio apostolico Riberi da parte di Mao. Zen, nel frattempo, diventa punto di riferimento per i cattolici e viene incaricato di guidare la sede di Hong Kong, da dove partono aiuti per i cattolici clandestini e perseguitati in Cina. Il suo arresto è un atto clamoroso che arriva a pochi mesi dal rinnovo dell'accordo per le nomine episcopali tra il Vaticano e il regime comunista di Pechino. Una linea promossa da Papa Francesco e dal cardinale Pietro Parolin con l'obiettivo di normalizzare i rapporti e riunire la Chiesa cattolica cinese, spaccata dagli anni Cinquanta: da una parte la rete controllata dal partito (Chiesa patriottica) e quella clandestina, rimasta fedele a Roma ma ancora mal tollerata dai funzionari se non addirittura perseguitata in alcune zone.
«La Santa Sede ha appreso la notizia dell'arresto e segue con estrema attenzione l'evolversi della situazione» è stato il commento del Vaticano. È evidente che nessuno si aspettava una reazione tanto dura contro un cardinale, sebbene considerato dai cinesi una spina nel fianco tanto che ciclicamente facevano arrivare lamentele in Vaticano tese a contenere il porporato.
Le posizioni del cardinale Zen però hanno avuto ripercussioni anche a Roma visto che per proteggere l'accordo con Pechino è stato di fatto emarginato. Basti pensare che prima del rinnovo dell'accordo, Zen è volato a Roma per parlare con il Papa che non lo ha mai ricevuto. Ha solo potuto lasciare una lettera alla reception di Santa Marta. Zen non le ha mandate nemmeno a dire al Segretario di Stato Parolin, polemizzando con lui perché tace sempre sulla situazione grave dei cattolici, vessati dal regime, controllati in modo asfissiante. In alcuni casi costretti a togliere dalle case il crocefisso per sostituirlo con il ritratto di Mao.
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Il Gazzettino