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«Ci conosciamo online: le nostre mamme erano malate di cancro. Questo ci avvicina molto e iniziamo una relazione a distanza: per due anni ci incontriamo ogni sei mesi. Notavo dei comportamenti strani, degli atteggiamenti che non mi piacevano ma mi aveva raccontato che aveva subito degli abusi in famiglia e pensavo che sarei stata in grado di aiutarlo ad affrontare il suo disagio. Poi, due giorni prima del matrimonio scopro che ha una relazione parallela e che mi mentiva. Divento gelosa e litighiamo: come reazione mi dà un pugno sulla spalla. È il primo di una lunga serie di gesti violenti. Eppure decido di sposarlo, perché avevo paura di ferire e imbarazzare i miei parenti. Ho anche pensato per molto tempo che dipendesse da me».
Per tre anni il matrimonio prosegue tra grida e minacce e Alice,(nome di fantasia), 29 anni, subisce aggressioni continue.
Alice rimane incinta e accetta di lavorare da casa online, ma la situazione non migliora. «Volevo lasciarlo ma ho sperato che diventando padre sarebbe migliorato. Invece mi metteva le mani al collo e mi minacciava. Se cercavo di fargli capire che non stavo bene, se ero triste o che volevo riposare si sentiva accusato e reagiva male, diceva che volevo controllarlo». Alice si convince persino che sia colpa sua: «Non lo lasciavo perché pensavo che fosse disturbato e che quindi non agisse di proposito. In fondo anche i miei genitori hanno vissuto problemi simili e mio padre poi è cambiato. Magari, mi dicevo, è solo una fase e poi sono cattolica devo perdonare. Mi sentivo divisa in due, volevo avere una figlia ma anche il sesso era difficile, ma se gli dicevo che ero stanca diventava freddo e mi sentivo colpevole». La vita in tre non migliora e Alice scopre persino dei tradimenti del marito con altri uomini. Poi, dopo l’ennesimo brusco comportamento anche con la figlia («le urlava e alzava il pugno perché faceva cadere le cose per terra»), capisce che non è più tempo della comprensione e decide di chiedere aiuto al “Telefono Rosa”. Ora è al sicuro ma la paura resta sebbene non si senta «arrabbiata. Sono contenta di avere il supporto di una psicologa con cui parlare e che mi capisce. Per anni non ho avuto il tempo di pensare, di capire cosa mi stesse accadendo: ogni situazione, ogni abuso si accumulava sull’altro. Per la prima volta posso piangere ogni giorno e sono triste perché nessuno vince quando una famiglia è spezzata. Ho accettato di essere stata abusata ma è più difficile accettare che lo abbia fatto qualcuno che ho pensato mi amasse».
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