Sanremo è un grande rito popolare. Ma non è obbligatorio guardarlo. Se a qualcuno non piace, basta cambiare canale

Sanremo è un grande rito popolare. Ma non è obbligatorio guardarlo. Se a qualcuno non piace, basta cambiare canale
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Caro direttore,
il Festival di Sanremo da show musicale si è trasformato in un fenomeno mediatico, divisivo e crossmediale, senza dubbio il più nazional-popolare con la sua capacità (a tratti estrema) di mescolare alto e basso. Sento e leggo spesso di persone che dicono di non guardare Sanremo. Poi consulto i dati della prima serata: 10 milioni e 757 mila spettatori, con uno share del 62.4%; nel 2022 la prima serata registrò il 54.7%. Si dice, inoltre, che il Festival sia poco seguito dal pubblico giovane. Eppure, sempre secondo le analisi dei dati, negli ultimi anni il pubblico è ringiovanito. Dunque, se nessuno lo vede chi lo guarda questo Sanremo?


Antonio Cascone
Padova


Caro lettore,
Sanremo è un rito nazionale a cui pochi si sottraggono. Non solo tra i telespettatori. Anche molti fra coloro che in passato lo snobbavano o lo trattavano con suprema e saccente indifferenza, aspirano oggi ad aver un ruolo, a ritagliarsi uno spazietto, non importa dove, purché possa fregiarsi del nome della località ligure. Come in tutti i riti anche in quello che si celebra a Sanremo, è fondamentale il ruolo del sacerdote (laico in questo caso). Di colui che officia lo spettacolo, dà i tempi e mescola con abilità il sacro e il profano, il serio e il faceto, la musica e tutto - ma proprio tutto - il resto. Amadeus in questo si è dimostrato perfetto. Ha l'insostenibile leggerezza necessaria per affrontare, senza scomporsi e senza venir meno al suo stile, qualsiasi argomento, dal più impegnativo al più scanzonato. Non eccede in protagonismi, non si sovrappone a nessuno, ma guida tutti (o quasi). Insomma, l'uomo giusto al posto giusto.


Ovviamente le canzoni e i cantanti in gara, in questo grande zibaldone Rai, sono diventati quasi un pretesto. O meglio: rappresentano la colonna sonora e i teatranti di un gigantesco contenitore televisivo che parte dalla musica per spaziare, o con l'ambizione di spaziare, in ogni ambito della società. Qualche volta riuscendoci, altre volte scivolando in una retorica un po' vuota e stantia. Ma questa è la cifra di Sanremo, soprattutto nella versione Amadeus, e qui sta la sua inimitabile capacità ( l'Auditel parla chiaro) di attrarre pubblici e attori sociali così diversi e distanti tra di loro. Anche per questo polemiche come quelle sull'intervento di Zelensky, riecheggiare ancora ieri, appaiono stucchevoli e sospette. Se sul palco dell'Ariston, tra un cantante e un ospite, tra i Coma Cose e i Pooh, si parla di fascismo e antifascismo, di Costituzione o di diritti violati, perché mai dovrebbe rappresentare una nota stonata o addirittura uno scandalo occuparsi anche di guerra e farlo attraverso la testimonianza e le parole di uno dei suoi protagonisti? Se poi a qualcuno tutto ciò da fastidio o non piace, c'è sempre una possibilità: cambiare canale. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino