Non vogliono farci vivere, dobbiamo resistere

Non vogliono farci vivere, dobbiamo resistere
Orrore. Atrocità. Incredulità. Senso di impotenza. Anche a molte ore di distanza, tutte le parole sono adatte e insieme inadeguate a mettere ordine alle emozioni e alle...

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Orrore. Atrocità. Incredulità. Senso di impotenza. Anche a molte ore di distanza, tutte le parole sono adatte e insieme inadeguate a mettere ordine alle emozioni e alle sensazioni che la notte di fuoco di Parigi ha generato in tutti noi. Non diversamente dall'11 settembre, anche la strage diffusa del 13 novembre segnerà in modo indelebile la nostra storia. Entrerà nel calendario dell'umanità come uno quei giorni che hanno cambiato le nostre vite. Perché nella loro lucida follia omicida i profeti armati di "Allah è grande" un risultato l'hanno raggiunto: instillare dentro di noi la paura del quotidiano, trasmetterci un senso di pervasiva precarietà.




La strategia dei registi del terrore islamico che hanno sconvolto la notte di Parigi è drammaticamente chiara nella sua tragica esecuzione: violentare le nostre vite, trasmetterci l'angosciante sensazione che nulla di ciò che fa parte delle nostre normali esistenze di donne e uomini liberi, come andare allo stadio, frequentare un ristorante, assistere ad un concerto, sia più sicuro. È questo il devastante messaggio della notte di fuoco parigina. È questo il segnale che, nell'escalation omicida del terrore, gli estremisti islamici hanno lanciato l'altra notte al mondo occidentale, alla nostra civiltà: sappiate che ovunque voi siate, qualsiasi cosa facciate noi possiamo colpirvi. Lo abbiamo fatto l'altra notte a Parigi, potremmo farlo domani a Roma, a Venezia, a Londra.



È una sfida radicale e totale che va oltre l'impressionante contabilità di morte della strage del Bataclan e anche oltre le indagini che cercheranno di ricostruire cosa sia accaduto nella capitale francese e cosa non abbia funzionato nei sistemi di sicurezza e di prevenzione. Ed è una sfida che ci chiama in causa tutti e che impone risposte. Perché, anche se molti preferiscono fingere di ignorarlo, l'altra notte a Parigi abbiamo avuto la prova più clamorosa che qualcuno, e non oggi, ci ha dichiarato guerra. Una guerra senza confini e che non prevede prigionieri. I nostri nemici, i nemici della cultura occidentale cristiana, nel nome di "Allah è grande" hanno colpito e devastato la capitale francese per colpire tutti noi. C'è un espressione francese molto nota anche in Italia che recita: "à la guerre comme à la guerre". Significa che, quando è necessario, occorre adattarsi alle circostanze e assumere le iniziative dovute, per quanto gravi siano. La parola guerra, in qualsiasi lingua, va sempre usata con grande cautela, tenendo a mente la definizione che ne diede Oriana Fallaci ("è la prova più bestiale dell'idiozia della razza terrestre"). Tuttavia, soprattutto dopo il 13 novembre, non possiamo assistere inermi alla follia omicida e distruttrice di chi vuole annientare la nostra storia.



Ci sono momenti in cui soprattutto chi governa deve assumersi le proprie responsabilità, per quanto gravose esse siano. Siamo figli di una cultura che ha rispetto della vita e dei diritti di tutti gli uomini. Ma anche per questo non possiamo arrenderci all'idea che prevalgano i profeti di morte. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino