La gavetta mal pagata dei giovani medici (e non solo) e ciò che molti non vedono: la qualità delle persone

La gavetta mal pagata dei giovani medici (e non solo) e ciò che molti non vedono: la qualità delle persone
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Gentile direttore,
leggo sempre volentieri la posta dei lettori e le sue risposte. Vorrei sottoporle le mie osservazioni sulla carenza di medici di cui si è parlato nel giornale. Mia figlia si è laureata in medicina 2 anni fa. Ha soggiornato all'estero per oltre un anno. È rientrata e si è attivata per fare guardie mediche nelle more del corso di specializzazione che frequenta. Fin qui tutto normale se non fosse che sono rimasto allibito del compenso che percepisce: per 12 ore di lavoro festivo e/o notturno 319 pari a 26,6 all'ora. Visto che non è lavoratore dipendente ma a partita Iva si tratta di un compenso lordo di spese (uscite a domicilio, assicurazione rc professionale, ecc...), tasse e contributi Enpam, che vengono percepiti solo se lavora, senza diritto a ferie, permessi e Tfr, ecc... Penso che l'importo esprima da solo l'incongruenza del compenso, non solo alla luce della laurea conseguita (pur essendo, a quanto mi è sembrato di capire la guardia medica solo una guardia despecializzata di smistamento), della responsabilità, dell'impegno fisico per la durata (12 ore continuative) e per l'orario di svolgimento (notturno). Si parla tanto di precariato, di sfruttamento, di giovani che vanno all'estero, ecc... lascio a Lei ulteriori considerazioni.


Cordiali saluti,
Giovanni Garbelotto


Caro lettore,


la considerazione ulteriore che lei mi sollecita è abbastanza semplice e purtroppo non riguarda solo i medici o altre attività che richiedono un lungo e impegnativo percorso formativo: il lavoro e le competenze vanno riconosciute e pagate in modo adeguato. E questo deve valere anche per chi muove i primi passi nel mondo del lavoro. Sappiamo bene che l'esperienza e la formazione sul campo - quella che un tempo si chiamava la gavetta - non sono meno importanti dell'apprendimento scolastico. Anzi in molti casi lo sono anche di più. Rappresentano una tappa decisiva e imprescindibile della crescita professionale in qualsiasi attività e comportano anche inevitabili sacrifici, rinunce e spirito d'adattamento. Ma non possono essere considerate una gentile concessione. Un passaggio obbligato a cui un giovane si deve sottoporre gratuitamente o quasi. Men che meno nella società odierna, dove il concetto di qualità della vita, con tutto ciò che questo significa in termini di disponibilità economica e di tempo libero, ha un peso e una considerazione nelle scelte di vita delle persone, imparagonabile rispetto a un passato nemmeno troppo lontano. Può piacere o meno: ma è così. Quello che tuttavia non è forse ancora chiaro a molti è che proprio perché viviamo in un mondo ipertecnologico, dove tutto si muove rapidamente e dove apparentemente tutti hanno a disposizione una straordinaria quantità di informazioni e di opportunità, a fare la differenza è e sarà sempre di più la risorsa umana. O meglio: la persona e la sua capacità di fare, sopratutto di fare bene e in modo soddisfacente (per gli altri ma anche per sé) il proprio mestiere o la propria professione. Non è solo una questione di stipendio (che pure rappresenta un aspetto importante) ma anche di una diversa considerazione del ruolo, delle aspettative e dei meriti di chi lavora o entra nel mondo del lavoro. Ad ogni livello. Le qualità di un servizio o di una prestazione non si possono più misurare solo sulla soddisfazione del cliente o dell'utente ma anche di quella di chi il servizio o la prestazione la produce. Credo che su questo sarebbe necessario da parte di tutti, impresa privata e servizi pubblici, fare un salto culturale e avviare una riflessione più ampia, magari a partire dagli aspetti fiscali che troppo spesso nel nostro Paese rappresentano un freno e una tagliola insostenibile.
      
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Il Gazzettino