La vicenda dei marò, la giustizia "partigiana" dell'India e le responsabilità italiane

La vicenda dei marò, la giustizia "partigiana" dell'India e le responsabilità italiane
Egregio direttore, nell'articolo pubblicato sul Gazzettino di ieri riguardante la vicenda dei 2 Sottufficiali del reggimento San Marco, si afferma che i pescatori furono...

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Egregio direttore,
nell'articolo pubblicato sul Gazzettino di ieri riguardante la vicenda dei 2 Sottufficiali del reggimento San Marco, si afferma che i pescatori furono scambiati per pirati e uccisi da colpi d'arma da fuoco proveniente dalla petroliera Lexie battente bandiera italiana, con a bordo una pattuglia di 6 militari del reparto. Sarebbe bene informarsi prima di fare affermazioni basate su informazioni errate e distorte. I fatti sono ancora tutti da accertare, si tenga conto che in fase di indagini (?) fatte dalla Polizia indiana non si è data possibilità ai due incaricati italiani (Ufficiali dei Carabinieri) di intervenire ma solo di assistere, indagini segnate da pressapochismo e incompetenza, con il peschereccio poi lasciato abbandonato pertanto con inquinamento delle prove.


Basta leggere tutto il materiale presente in rete, oltre al libro scritto da Toni Capuozzo, che descrive con dovizia di particolari a vicenda, con tutti i lati oscuri della situazione (orari, punto GPS ecc), non è chiaro in che modo l'Italia avrebbe violato la libertà di navigazione, di conseguenza non è chiaro perché l'Italia (al di là della buona volontà), dovrebbe risarcire i pescatori considerando che esistono forti dubbi sullo svolgimento dei fatti, che mettono in forte dubbio che i colpi siano partiti effettivamente dalla petroliera italiana invece che da altra imbarcazione.
Daniele Tinti
Treviso



Caro lettore,

credo che nessuno - neppure lei, se mi permette - sia il depositario della verità. Tantomeno su una vicenda controversa come questa in cui i fatti sono ancora in larga parte da accertare. Sulla condotta, quantomai approssimativa e assai partigiana, delle indagini da parte delle autorità indiane non ci sono dubbi. Ed è evidente che ci sono ancora molti aspetti da chiarire. Quella riportata nell'articolo è, allo stato attuale, la verità processuale, cioè quella emersa dalle inchiesta condotte in India. Ora ci sarà un nuovo processo, questa volta in Italia, che potrà meglio definire le eventuali responsabilità. E forse, lo speriamo, emergerà un'altra verità. Per comprendere il senso della recente sentenza del Tribunale dell'Aja che ha dato largamente ragione all'Italia ma ha anche previsto un risarcimento per i pescatori indiani, bisogna anche comprendere che, come ha ben spiegato su queste pagine Carlo Nordio, noi non siamo esenti da colpe. Una su tutte: non aver imposto, da parte di chi doveva farlo, la necessaria autonomia decisionale e operativa ai nostri militari, lasciandola invece all'armatore della nave (civile) e al suo comandante. Non è un dettaglio di poco conto: perché se la nave non fosse stata fatta entrare in territorio indiano, come preteso dall'armatore della nave, le autorità giudiziarie locali non avrebbero avuto alcun titolo per processare i nostri militari. La titolarità dell'inchiesta sarebbe stata da subito italiana. E il processo avrebbe avuto uno svolgimento diverso. Come vede anche la verità ha spesso varie sfaccettature. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino