Se la violenza è (per un pm) un "fatto culturale" e la giustizia italiana non difende le donne umiliate

Se la violenza è (per un pm) un "fatto culturale" e la giustizia italiana non difende le donne umiliate
Caro Direttore, in questi giorni a Brescia un Pm chiede di assolvere un uomo originario del Bangladesh denunciato dalla moglie per maltrattamenti in quanto, a suo dire, frutto...

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Caro Direttore,
in questi giorni a Brescia un Pm chiede di assolvere un uomo originario del Bangladesh denunciato dalla moglie per maltrattamenti in quanto, a suo dire, frutto dell'impianto culturale e non della volontà di comprimere le libertà morali e materiali. Mi sembra ufficialmente il primo atto di sottomissione avvenuto in Italia, nei confronti della religione musulmana, così come preconizzato dal Sig. Accardo in una trasmissione televisiva. Anche l'Anm difende il Pm e questo mi sembra ancora peggio.


Gino De Carli


Caro lettore,
non credo che l'assoluzione chiesta da questo magistrato bresciano sia il primo caso di quella che lei definisce "sottomissione" alla religione musulmana. E purtroppo non sarà neppure l'ultimo. Ogni giorno assistiamo agli effetti negativi di un relativismo culturale che sta facendo i pezzi le basi della nostra cultura e con essa i diritti fondamentali dell'uomo e della donna. Ma credo che in questo caso ci siano anche altre riflessioni da fare.


Ancora una volta la giustizia italiana si è preoccupata non di salvaguardare la "vittima" e i suoi diritti - in questo caso quelli di una donna sottoposta da anni alle angherie e alle violenze del marito -, ma il "carnefice", a cui è stato di fatto riconosciuto il diritto "religioso" e "culturale" di sopraffazione nei confronti della consorte. Non importa se la donna in questi principi non si riconosce più e non li accetta. Deve farli propri e subirne le conseguenze, in nome del "credo" superiore e delle convinzioni del marito. Un' interpretazione incredibile della legge, che giunge a legittimare il potere arbitrario del più forte, invece di difendere e salvaguardare i diritti del più debole. Ma c'è anche un altro aspetto. Questa donna, umiliata e stanca di subire le violenze e i soprusi del marito, si era rivolta alla giustizia italiana nella ragionevole speranza di vedere riconosciuto ciò che nel suo Paese quasi certamente sarebbe stato impossibile ottenere. Cioè il diritto, come donna e come essere umano, a vivere secondo le sue scelte e i suoi desideri, non in base alle imposizioni del marito o di chiunque altro. E questa è la risposta che ha ottenuto dalla civilissima Italia. Non credo ci sia alcuna ragione per esserne orgogliosi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino