C'è un tempo e un modo per giudicare i ragazzi vittime di tragedie causate da loro responsabilità

C'è un tempo e un modo per giudicare i ragazzi vittime di tragedie causate da loro responsabilità
Egregio direttore, avevo protestato perché una vostra giornalista due giorni dopo un grave incidente che aveva provocato la morte di una giovanissima ragazza vicino a...

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Egregio direttore,
avevo protestato perché una vostra giornalista due giorni dopo un grave incidente che aveva provocato la morte di una giovanissima ragazza vicino a Jesolo, aveva definito gesto altruistico viaggiare in sei in macchina. Lei dalle pagine del Gazzettino mi aveva scritto che non dovevo giudicare, e che comunque viaggiare in sei non era condizione presupponente la morte di Giulia. Non la sfiora l'idea che è la cultura della trasgressione la base di tutto questo? Passano dieci giorni, ed ecco un altro gesto altruistico. Solo che stavolta sono sette, i freni non tengono, e un giovanissimo è vittima dell'asfalto.

Lettera firmata
Venezia


Caro lettore,

non ho mai scritto che non si deve giudicare. Anzi: penso l'esatto contrario. Penso che si debba dare voce ai propri pensieri e non farsi vincere dall'indifferenza. Ma c'è modo e modo per farlo. E, come ho già scritto, ci deve essere un tempo per i giudizi e le riflessioni e un tempo per il rispetto del dolore e della sofferenza. È così difficile da capire? O la volontà di esternare al mondo le proprie idee, di rimarcare la propria certezza di essere nel giusto, deve per forza e sempre sovrastare ogni altro sentimento? Sono perfettamente consapevole che all'origine di tragedie come quelle che abbiamo vissuto in queste settimane e che hanno visto come vittime giovanissimi ragazzi, ci sia anche un vuoto di regole; una drammatica scomparsa dei confini tra ciò è giusto e ciò che è sbagliato; un profondo problema educativo per la difficoltà delle generazioni più adulte a trasferire a quelle future un sistema saldo di valori. Non è solo giusto parlarne, è doveroso e necessario. Ma quando si è messi di fronte all'immensità della sofferenza, c'è un momento in cui bisogna aver la forza di fare un passo indietro, di far prevalere l'umanità, di rinunciare al proprio io e di mettersi nei panni di chi vive un dramma lacerante. Precisare che quando l'incidente mortale di Musile si è verificato sull'auto non c'erano 6 persone ma due, non significa giustificare qualcosa o qualcuno, ma precisare i fatti per quelli che sono. Sappiamo tutti che far salire 6 o 7 persone su un'auto o, come è accaduto l'altro ieri in provincia di Udine, guidar ne una a 16 anni, sono reati. Definire gesto altruistico aver fatto salire 6 ragazzi su un'auto, è solo un modo per non sottolineare troppo colpe ed errori. Perché, in quel momento, sbattere in faccia a un genitore, via Internet o dalle pagine di un giornale, le responsabilità del figlio, puntare il dito contro un ragazzo o una ragazza indicandoli come modelli nefasti di trasgressione, non aiuta nessuno. Serve solo a regalarci l'intima ed effimera soddisfazione di sentirci dalla parte del bene e del giusto. Non ad affrontare e risolvere i problemi.
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Il Gazzettino