Il ciclismo commuove perché metafora della vita

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Caro Direttore,

nel vedere l'altro ieri il nostro Fabio Aru vincere al Tour de France la tappa con arrivo in salita a la Planche des Belles Filles mi sono venute le lacrime. Sono normale?
Enzo Fuso
Lendinara (Rovigo)


Caro lettore,
credo che lei sia assolutamente normale. Il ciclismo, nonostante i micidiali colpi inferti dagli stregoni della farmacologia e dai loro numerosi adepti, mantiene un suo arcano e indistruttibile fascino. Sa smuovere passioni ed emozioni come pochi altri sport. A questo contribuisce anche il fatto che una corsa in bici si nutre spesso soprattutto di attesa: si attende per ore nello scorrere dei chilometri e dei paesaggi che succeda qualcosa. Uno scatto, una fuga, uno sprint. E quando accade con l'imprevedibilità e l'audacia che Fabio Aru ha trasfuso nella sua inarrestabile accelerata di martedì sulla perfida arrampicata de la Planche des Belles Filles, il gesto sportivo assume, agli occhi di chi guarda, i contorni dell'impresa, trascinante ed emozionante. Una stoccata, sintesi di forza e intuito, a cui è difficile rimanere indifferenti. Uno dei più grandi cantori delle due ruote, Gianni Brera, ha scritto che Solo in provincia si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine indispensabili per riuscire in uno sport così faticoso come il ciclismo. È questo suo essere metafora della vita e, insieme, sublimazione di umane sofferenze, a rendere questo sport unico. Anche nella capacità di commuovere. Lei come tanti altri. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino