Perché la richiesta di 8mila artisti di escludere Israele dalla Biennale di Venezia è sbagliata e va respinta

Perché la richiesta di 8mila artisti di escludere Israele dalla Biennale di Venezia è sbagliata e va respinta
Caro direttore, «"Biennale, 8000 no a Israele - Sangiuliano: "Vergognoso"» titolava il Gazzettino. Ma no, signor Ministro, lasci che gli artisti gridino...

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Caro direttore,
«"Biennale, 8000 no a Israele - Sangiuliano: "Vergognoso"» titolava il Gazzettino. Ma no, signor Ministro, lasci che gli artisti gridino la loro protesta, lasci che i giovani di Pisa, di Firenze, di tutta l'Italia gridino con tutto il loro cuore e tutta la loro voce per svegliare la vostra inerzia, per denunciare l'umiliante sudditanza dei governi occidentali alla politica vendicativa di Israele.


Natale Trevisan


Caro lettore,


potremmo discutere a lungo se è più umiliante quella che lei definisce l'inerzia dei governi occidentali nei confronti di Israele o invece l'ipocrita strabismo con cui molti anche in occidente giudicano e giustificano le gesta e le stragi dei terroristi filo-palestinesi. Ma non voglio discutere di questo: penso che non le farei comunque cambiare idea. Voglio invece spiegare a lei e chi ci legge perché considero sbagliato ed anche pericoloso l'appello degli 8mila artisti contro la presenza di Israele alla prossima Biennale d'arte di Venezia. La mia non è per nulla una scelta di schieramento. Non deriva cioè da ciò che penso delle responsabilità che nel conflitto in corso possono avere Netanhyau o Hamas. Avrei scritto le stesse cose se altrettanti intellettuali avessero chiesto di "punire" con l'esclusione da Venezia artisti palestinesi o di altre nazionalità. Non sono d'accordo con il "manifesto" anti-israeliano di quegli artisti perché una cosa è esprimere il proprio radicale e fermo dissenso contro la politica (e i massacri) del governo di Israele nella striscia di Gaza, altra cosa è pretendere la cancellazione del padiglione di Israele dalla Biennale. Sono due cose molto diverse e lontane tra di loro. Tra l'una e l'altra corre la stessa distanza che separa la protesta dalla censura. La prima è una manifestazione di libertà, la seconda ne è la sua radicale negazione. Come coloro che hanno firmato quell'appello dovrebbero ben sapere, un'istituzione come la Biennale veneziana è per definizione uno spazio pensato per aprire le menti, non per chiudere le porte. Per favorire, attraverso le arti espressive, il confronto anche tra mondi diversi e lontani, non per accendere altri e nuovi scontri. Trascinare anche la cultura sul campo militare di battaglia è il peggior servizio che si possa fare alla pace sul fronte mediorientale. Ammesso, naturalmente, che si voglia davvero la pace. E non si desideri piuttosto cancellare non solo un Padiglione, ma un intero Paese e il suo popolo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino