Covid, le cure domiciliari sono importanti ma non possono essere un'alternativa all'ospedale o ai vaccini

Covid, le cure domiciliari sono importanti ma non possono essere un'alternativa all'ospedale o ai vaccini
Egregio direttore, sono un convinto sostenitore dell'utilità di una buona campagna vaccinale. Ciò detto, se vi è una carenza del sistema sanitario questa...

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Egregio direttore,
sono un convinto sostenitore dell'utilità di una buona campagna vaccinale. Ciò detto, se vi è una carenza del sistema sanitario questa è sicuramente nell'organizzazione delle cure domiciliari prima ancora che ospedaliere. Infatti il virus si manifesta in genere con sintomi riconoscibili, come la febbre, che con un tampone possono portare alla conferma o meno di una positività. Dopo 18 mesi siamo ancora fermi ad un protocollo di cura domiciliare che prevede l'uso di tachipirina, paracetamolo e vigile attesa. La patologia, se tempestivamente affrontata con cure appropriate (leggi anticorpi monoclonali), può essere debellata senza ricoveri ospedalieri. Invece ancora oggi troppi contagiati sono mal curati in casa fino ad un aggravamento che porta ad una tardiva ospedalizzazione con esiti, ancora oggi, troppo spesso letali. Molti medici di base curano a casa con ottimi risultati i propri pazienti applicando protocolli di cura in deroga alle indicazioni ministeriali ! Sono allibito.


Luciano Tumiotto
Ponte di Piave


Caro lettore,


sulle cure domiciliari contro il Covid c'è molta confusione e troppa, pericolosa disinformazione. Le cure domiciliari sono uno strumento efficace per combattere il Covid (in Italia il 96% dei positivi è stato del resto curato a casa), ma non possono essere sono un'alternativa all'ospedale, nè tantomeno ai vaccini. Lei cita le terapie monoclonali: ma queste cure - che proprio domiciliari non sono visto che prevedono lunghe iniezioni per via endovenosa effettuabili solo in strutture specializzate - non possono essere applicate su larga scala. Perchè sono efficaci di fronte a sintomi lievi e moderati ed esclusivamente se vengono usate nella fase precoce della malattia: entro le 72 ore dalla comparsa del virus. Inoltre sono piuttosto costose (dai mille ai 2mila euro a dose) e garantiscono una copertura contro il virus di pochi mesi, inferiore quindi a quella del vaccino. Per questo in Italia le monoclonali sono state utilizzate per curare solo 8mila persone, di cui oltre mille in Veneto. Ci sono poi altri farmaci, non previsti nei protocolli ufficiali, di cui alcuni medici hanno celebrato, a periodi alterni, le formidabili qualità terapeutiche: è il caso, per esempio, della ivermectina o dell'idrossiclorichina. Per nessuno di questi medicinali esistono però studi clinici che ne certifichino l'efficacia, anzi sono spesso emerse forti controindicazioni che, come nel caso dell'idrossiclorichina, hanno spinto l'Oms a sconsigliarne «fortemente» l'uso. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino