Non confondiamo certi show in tv dei giornalisti con il quotidiano lavoro (e dovere) di informare

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Egregio direttore, anche in questi tre mesi di pandemia alla TV abbiamo assistito ad una esibizione del lato più triste del giornalismo. Salvo rare eccezioni, potrei...

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Egregio direttore,
anche in questi tre mesi di pandemia alla TV abbiamo assistito ad una esibizione del lato più triste del giornalismo. Salvo rare eccezioni, potrei citarle le brave Barbara Palombelli e Veronica Gentili, sempre sobrie e distaccate dalla partigianeria, è tutto un viavai di giornalisti di una certa parte trasformatisi in politici, altri (dell' altra parte) hanno preferito indossare i panni del comico. Mi viene il dubbio che, dato che in TV se non fai ascolti ti tagliano, questi signori abbiano scelto di intraprendere nuove carriere. Del resto lo disse già Oscar Wilde: Per quel che riguarda il giornalismo moderno, non è affar mio difenderlo. Giustifica la sua esistenza attraverso il principio darwiniano della sopravvivenza del più volgare. Io ho soltanto a che fare con la letteratura.

Tiziano Lissandron

Caro lettore,

non è mai semplice parlare del proprio lavoro o dei propri colleghi. Ci proverò comunque. Parto da una premessa: il giornalismo televisivo, e in particolare quello dei cosiddetti talk show, rappresenta solo una parte del mondo dell'informazione. E anche se si tratta della parte più mediaticamente nota ed esposta al grande pubblico, credo sia sbagliato generalizzare e, partendo da essa, emettere giudizi sull'intera categoria di chi fa informazione. Anche a me è capitato di seguire con un certo sconcerto dibattiti televisivi in cui opinionisti e conduttori si improvvisavano, spesso per partito preso, scienziati e virologi. O vedere celebri firme del grande schermo costruire intere trasmissioni nel tentativo di minimizzare il rischio-virus («È solo una influenza un po' più forte») salvo poi, con totale disinvoltura, indossare un paio di settimane più tardi i panni dei rigorosi fautori del blocco più totale che totale non si può. Ma accanto a queste piroette ed esibizioni ad uso e consumo dell'Auditel, ho visto anche tanti giornalisti, pur nelle difficoltà imposte dal lockdown e dall'impossibilità di operare sul campo, che si sono impegnati a cercare di capire e spiegare a lettori ed ascoltatori cosa stava accadendo. Informarli su ordinanze, rischi e pericoli che la pandemia e questo maledetto virus portavano con sé. Cercare di interpretare una realtà del tutto nuova e dalle conseguenze difficili da comprendere e immaginare. Un lavoro certamente più oscuro e meno gratificante di quello di tanti celebri conduttori tv, ma che, penso, abbia avuto una sua non marginale importanza e abbia aiutato tanti cittadini ad affrontare con più consapevolezza una stagione così difficile e densa di incertezze come quella che abbiamo vissuto negli ultimi tre mesi. Non c'è nulla di eccezionale ed eroico in tutto questo. È semplicemente il nostro lavoro e il dovere di informare. Ma mi permetta la franchezza: non è giusto liquidare con una seppur brillante citazione il lavoro e l'impegno di tanti professionisti. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino