Caro direttore, le scrivo perché trovo assurde le accuse di pornografia che i signori di Facebook rivolgono a statue e fontane che evidenziano corpi nudi. In realtà...
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Mario Pasetti
Venezia
Caro lettore, di fronte alle ridicole censure del Bacio di Rodin o della trevigiana Fontana delle tette, ci sarebbe solo da sorridere. O forse, come anche lei consiglia, da suggerire ai responsabili di Facebook il nome di qualche bravo psicologo esperto in turbe sessuali. Ma sottovalutare queste vicende, a prima vista banali, credo sarebbe un errore. Perché questi due episodi svelano una realtà che va indagata e su cui vale la pena di riflettere. E forse anche di intervenire.
Su Facebook, come su altri social network, appare ogni giorno di tutto e di più: insulti, false verità, autentiche campagne di odio contro personaggi pubblici e no. Ma tutto o quasi passa, tutto o quasi circola e corre fino a diventare virale, cioè inarrestabile e incontrollabile. Il filtro degli algoritmi, i sistemi di controllo informatici, poco può di fronte a masse di miliardi di messaggi e immagini. Sui social non proprio tutto è lecito, ma molto, moltissimo è consentito. Per il Bacio immortalato da uno dei padri della scultura moderna o per un'innocente opera che fa mostra di sè nel centro di Treviso da circa la metà del 1500, è invece scattata la tagliola. Sono immagini proibite, ha sancito Facebook. I motivi? Il capolavoro creato da August Rodin sarebbe troppo lascivo, il seno dell'antica fontana insopportabilmente volgare. Spiegare ai signori di Facebook che la vera volgarità sta altrove e che, per scoprirla, basterebbe scorrere molte delle pagine della loro miliardaria creatura social, sarebbe tempo sprecato. A loro non interessa. Il pensiero politicamente corretto a cui si abbeverano, o fingono di abbeverarsi, si fonda su una ben collaudata ipocrisia. Che, da un lato, censura Rodin, ma, dall'altro, consente che il mondo venga invaso da nefandezze di ogni genere e da false notizie (o fake news, come si preferisce chiamarle). Dobbiamo e possiamo accettarlo? Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino