Orribile e insensata la contabilità dei morti in servizio per screditare i militari caduti servendo il Paese

Orribile e insensata la contabilità dei morti in servizio per screditare i militari caduti servendo il Paese
Egregio Direttore, mercoledì in risposta al sig. Bernardini che lamentava l'assenza della fanfara al rientro dei nostri militari dall'Afghanistan, lei ha messo a...

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Egregio Direttore,
mercoledì in risposta al sig. Bernardini che lamentava l'assenza della fanfara al rientro dei nostri militari dall'Afghanistan, lei ha messo a confronto il ricevimento dimesso dei nostri militari con le attenzioni rivolte alla cittadina italiana liberata e islamizzata durante il rapimento. Credo utile ricordare che per quelle missioni militari c'è la fila, considerata la invitante retribuzione e che, con l'assoluto rispetto per i caduti in missione nell'ultimo ventennio, ricordo che sul territorio italiano nello stesso periodo sono caduti circa ventimila lavoratori: non hanno servito la Patria, ma la Nazione. Inoltre, nel mondo ci sono circa 380.000 missionari laici, italiani e 20.000 religiosi i quali spesso muoiono, testimoni di un messaggio di pace e tolleranza.


Antonio Padovese

Caro lettore,


ogni persona che perde la vita mentre fa il proprio lavoro e il proprio dovere merita grande rispetto e considerazione. Ma trovo orribile e priva di senso la tragica contabilità in cui lei si è esercitato per giustificare il dimesso e solitario rientro degli ultimi militari italiana della missione italiana in Afghanistan. Cosa significano le sue parole? Che poiché in Afghanistan sono morti solo 53 uomini del nostro contingente; che poiché i nostri militari in missione all'estero indossano la divisa, sono ben pagati e servono la (detestata) Patria e non la più nobile Nazione, non avrebbero meritato un'accoglienza simile a quella che lo Stato aveva voluto riservare alla cooperante rapita e poi liberata dagli estremisti islamici? Vorrei ricordarle che i nostri soldati erano in Afghanistan per un impegno democraticamente preso dal nostro Paese nell'ambito di un'operazione internazionale di pace. Non sono mercenari. E non sono neppure figli di un Dio minore solo perché indossano una divisa. Sono uomini e donne che servono il loro Paese in terre lontane e spesso infide. Non sono gli unici, certo. Tanti altri lo fanno, seppur in modo diverso e con altre modalità. Nella mia risposta, al contrario di lei, non volevo stilare classifiche. Solo sottolineare che anche quei militari avrebbero avuto il diritto di sentire al ritorno da Herat la vicinanza del loro Paese. Com'è accaduto in altri casi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino