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Il vaccino Oxford contro il Covid richiede studi ulteriori. Il candidato vaccino anti Covid elaborato dall'università di Oxford, in collaborazione fra gli altri con l'Irbm di Pomezia, richiede studi «supplementari». Lo ha ammesso oggi, in un'intervista alla Bloomberg, Pascal Soriot, numero uno della società farmaceutica produttrice AstraZeneca, partner del progetto, a pochi giorni dalla pubblicazione dei primi risultati sulla sperimentazione che indicavano un'efficacia del prototipo compresa fra il 62 e il 90% a seconda dei tipi di dosaggio (70% medio circa). Quei risultati erano stati in seguito oggetti di richiesta di chiarimenti e di dubbi su alcuni dati nella comunità scientifica internazionale.
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Il prototipo Oxford/AstraZeneca è al momento in pole position in occidente - assieme a quello tedesco-americano di Pfizer/BionTech e quello statunitense dei laboratori Moderna - fra le speranze di un rimedio contro la pandemia. ll nodo da sciogliere riguarda tuttavia il fatto che l'esito migliore (con un 90% di successi) sia stato individuati con il dosaggio di una mezza dose, seguito dal richiamo di una dose intera; mentre con la classica doppia dose, l'efficacia si riduceva al 62%.
Una scoperta avvenuta di fatto casualmente, «per errore», e a cui i ricercatori di Oxford e degli altri team coinvolti nei trial in giro per il mondo non sono ancora in grado di dare una spiegazione metodologico-sperimentale precisa. Serve «uno studio supplementare, poiché abbiamo individuato quelle che sembrano essere le migliori condizioni di efficacia del dosaggio, ma dobbiamo validarle», ha riconosciuto il ceo di AstraZeneca, la società incaricata di garantire l'intera produzione di questo potenziale vaccino: già ordinato in decine di milioni di dosi dal governo britannico, fra i principali finanziatori di questa ricerca, come da quelli degli Usa e dell'Ue, Italia inclusa, in vista di una sperimentazione che si pensa di poter far partire nel migliore dei casi prima di Natale fra anziani, pazienti vulnerabili, medici e infermieri.
Gli approfondimenti dovrebbero consentire d'indicare parametri più certi rispetto alle attese di scienziati e investitori nel mondo sul livello di protezione immunitaria del prototipo, che rispetto a quelli di Pfizer e Moderna si basa su un concetto più tradizionale e risulta più facile da conservare (a temperature da frigorifero, senza necessità di congelamento a livelli bassissimi), da stivare e quindi da distribuire.
«Si tratta di capire perchè una vaccinazione con metà dose prima (dose prime) e successivamente il richiamo con una dose completa funzioni meglio che cominciando con una dose alta. Quindi lo studio dovrebbe essere di tipo biologico, ossia sulla risposta del sistema immunitario», ha commentato Stefano Vella, infettivologo, docente di Salute globale all'Università Cattolica di Roma ed ex presidente di Aifa. Che ha aggiunto: «La notizia che ci vorrà più tempo preoccupa perchè si allontana il momento della consegna, dall'altro rassicura perchè ci garantisce». Dello stesso parere il virologo dell'ospedale Sacco di Milano Massimo Galli: «Su queste cose è giusto ragionare molto bene, lo dico senza scetticismo alcuno ma con realismo». E aggiunge: «È bene avere prima i dati e poi le date, e questo vale per tutti i vaccini. Ritengo che le dosi arriveranno, ma serve la certezza su efficacia e sicurezza, e questo implica tempo». Dal canto suo il commissario per l'emergenza coronavirus Domenico Arcuri lo ha ribadito: «Per battere il virus servirà un vaccino, quello sarà il momento definitivo perché questa triste pagina possa essere in qualche misura girata e potrà costituire una triste e drammatica componente del nostro passato».
Covid, Arcuri: «La curva contagi si sta congelando»
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