L'integrazione? Deve essere reciproca

L'integrazione? Deve essere reciproca
Vorrei dare un contributo al dibattito avviato il 25 maggio con la Lettera al direttore a seguito dell'attentato a Manchester. ...

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Vorrei dare un contributo al dibattito avviato il 25 maggio con la Lettera al direttore a seguito dell'attentato a Manchester.


Varie sono le forme di complicità nelle azioni terroristiche: anche coloro che, tra le mura domestiche, sostengono, esultano o non prendono comunque chiara e ferma posizione verso gli attentati sono da considerarsi responsabili nel diffondere il panico ed alimentare la paura. La scuola dell'odio purtroppo è contaminante e i suoi insegnamenti facilmente applicabili. Lunga e faticosa invece la rieducazione alla pace, un lavoro quotidiano, fondato su buone pratiche e non su vuote parole e che esige coerenza e coraggio.

Cosa vorremmo insegnare ai nostri figli se non innanzitutto la capacità di indignarsi sempre e comunque di fronte alle notizie di attentati ma anche verso tutto ciò che va contro la libertà di pensiero individuale? Vorrei davvero poter spiegare ai nostri ragazzi che i kamikaze, loro coetanei, non sono dei martiri, sono invece individui privi di libertà individuale, imbottiti di ideologia, alla mercé di una follia collettiva, che li ha deprivati della coscienza e negato loro il diritto a vivere la giovinezza.

Va tanto di moda oggi parlare di inclusione, usata come il sale a tavola, una sorta di sviluppo del terzo millennio del termine integrazione: in essa si riconosce entusiasta parte del mondo politico ma in me, personalmente, suscita a dir poco perplessità, se non altro perché la radice etimologica tutto evoca fuorché condivisione, comprensione, tolleranza, principi, questi, che risultano efficaci solo se osservati in modo reciproco.

Scrivo ciò di cui ho diretta esperienza, parlo di ciò per cui lotto nel mio quotidiano: ho fatto la scelta, per nulla facile, di convivere ma non di convertirmi a religioni e pensieri altrui e mi sforzo di tener a mente piuttosto un'affermazione quanto mai attuale di Domenico Scandella, detto il Menocchio, resa in sede di processo cui la Chiesa lo sottopose per condannarlo delle sue idee libere e dunque blasfeme: «La maestà de Dio ha dato il Spirito santo a tutti: a cristiani, a heretici, a Turchi, a Giudei, et li ha tutti cari, et tutti si salvano ad uno modo». Domenico Scandella detto Menocchio, Montereale Valcellina, 1532-1600.


Margherita Venturelli Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino