Città del Vaticano – In Vaticano resta un argomento tabù e nessuno al momento vuole affrontarlo apertamente, nemmeno le congregazioni femminili, tanto il tema...
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Il sondaggio di fatto ha coinvolto 38 organizzazioni operanti in Africa, Asia e Oceania. Hanno risposto solo in 14, ma il questionario è stato a sua volta rilanciato e le risposte complessive sono state 101. La maggior parte delle risposte (quasi il 70%) attribuisce all’argomento una importanza alta o molto alta e testimonia come la sensibilità sia in crescita e i casi non siano pochi e marginali.
L’intento è di creare una rete di sostegno alle suore vittime a livello internazionale finanziando progetti formativi e terapeutici in ordine all’emergenza, anche perchè di solito le suore che denunciano o non vengono credute oppure le stesse congregazioni religiose optano per far decantare la situazione e non creare scandali.
I paesi con le risposte più numerose sono stati l’India e il Camerun, ma con significative presenze anche in altri stati (10 in Africa e 8 in Asia). Mentre dall’Oceania è arrivato una sola risposta e quindi non ha permesso di integrarla nello studio. Il 48% delle risposte africane ha riconosciuto l’argomento come di alta o molto alta importanza, mentre, dal versante asiatico, la risposta ha raggiunto il 75%. Come è scritto in una risposta: «Quando puoi vedere la parte emersa di iceberg, significa che quella sott’acqua è molto grande».
Tabù, insabbiamenti, scarsa collaborazione fra le istituzioni ecclesiali e una coscienza ancora debole. Settimana annota: per alcune organizzazioni non c’è stata ancora nessuna denuncia in merito.
Dall’Africa: «Non è stato fatto ancora nulla per affrontare un tema che è considerato un tabu. Mi dispiace che i preti che hanno commesso questi abusi non siano sanzionati dai responsabili, ma semplicemente spostati in altra parrocchia». «Dopo un abuso in un convento, abbiamo inviato una lettera a tutte le autorità interessate, ma non c’è stato nessun avviso di ricevimento».
In Asia: «In generale il problema è nascosto sotto il tappeto e la vittima affronta il peso da sola. I vescovi hanno paura di affrontare l’argomento». «La vittima dovrebbe rivolgersi alla superiora locale e maggiore della sua congregazione, ma spesso la tendenza fra le religiose è di sopprimere il problema… e la vittima viene trasferita invece di agire contro l’attore dell’abuso».
Sulle ragioni che facilitano le violenze si insiste molto soprattutto sulle strutture di potere e sul clericalismo. «Le persone tendono ad appoggiare il prete perché lo ritengono al di sopra di ogni sospetto. È messa in discussione la moralità della vittima».
«Le religiose sono collocate fra i gradini più bassi della gerarchia e questo le rende più vulnerabili agli abusi sessuali».
Una seconda ragione è la paura e la vergogna della vittima: «Spesso la vittima viene accusata di seduzione. Il che significa perdere la fiducia per raccontare quanto è successo». «La maggior parte degli eventi è nascosta. Le donne si vergognano e i predatori clericali rimangono attivi».
Ma ci sono altre ragioni: l’inferiorità culturale della donna, la stigmatizzazione delle vittime, la manipolazione del senso di appartenenza, la negazione, lo scarso sostegno delle gerarchie, la dipendenza economica.
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Il Gazzettino