L'Europa irrompe sul voto italiano, ma cresce il fronte pro deficit

L'Europa irrompe sul voto italiano, ma cresce il fronte pro deficit
ROMA Il modo con cui lo si dice cambia e riflette naturalmente anche lo stile diverso dei vari personaggi. Ma l’idea che la futura crescita economica italiana passi per un...

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ROMA Il modo con cui lo si dice cambia e riflette naturalmente anche lo stile diverso dei vari personaggi. Ma l’idea che la futura crescita economica italiana passi per un aumento del deficit di bilancio è ampiamente diffusa tra le varie forze politiche che si contendono il voto degli italiani, al punto che questo potrebbe anche diventare il cemento di future alleanze, tutte da precisare. Non c’è solo Di Maio, bacchettato ufficialmente da Pierre Moscovici. Il giovane aspirante premier pentastellato vorrebbe uno «sforamento temporaneo» della soglia del 3 per cento nel rapporto tra disavanzo e Pil. L’obiettivo dichiarato è «rilanciare lo sviluppo» e i modelli evocati sono quelli di altri Paesi europei, Spagna e Francia, che negli anni scorsi a differenza del nostro si sono mantenuti al di sopra della soglia di riferimento; secondo le stime della Ue Parigi dovrebbe essere rientrata nel 2017, mentre Madrid è attesa alla fine di quest’anno.


I PARAMETRI
Su una linea del tutto simile a quella di Di Maio è Matteo Salvini, che già in passato ha avuto modo di definire il 3 per cento «un vincolo che non ha senso». Del resto la Lega si presenta con un programma dichiaratamente anti-europeo, non solo in economia, e così non c’è stato bisogno nemmeno di dettagliare troppo questo punto.
La posizione del Pd per la prossima legislatura è stata invece presentata da Matteo Renzi con lo slogan del “ritorno a Maastricht”. Vuol dire che il nostro Paese si riterrebbe sì obbligato a rispettare il tetto del 3 per cento sul deficit, (che era appunto uno dei parametri per l’ingresso nell’euro negli anni Novanta, in base al trattato firmato nella città olandese) ma solo quello. Dunque non ci sarebbe più necessità di perseguire l’”obiettivo di medio termine” che nel caso italiano è il pareggio di bilancio, come invece previsto dal Patto di Stabilità e crescita rafforzato dai successivi accordi. In questo scenario, il governo avrebbe a disposizione ampi spazi di bilancio per le proprie politiche, ovvero per ridurre il prelievo fiscale ed aumentare la spesa pubblica. Quanto ampi? Il parametro del 3 per cento si considera rispettato anche quando il deficit arriva a questa incidenza sul Pil senza superarla: per il 2018 il governo Gentiloni ha fissato l’obiettivo all’1,6 e dunque spingendosi fino alla soglia (cosa al momento assolutamente non prevista) si “ricaverebbero” 24 miliardi. L’anno successivo il margine potenziale crescerebbe a 38 miliardi e nel 2020 - in cui l’Italia si è impegnata a raggiungere il sostanziale pareggio - addirittura a 52. La principale obiezione a questa impostazione ha a che fare con il famoso giudizio di Romano Prodi: l’allora presidente della Commissione definì «stupido» il Patto di stabilità (che all’epoca conteneva meno elementi di flessibilità) laddove non tiene conto della concreta situazione del Paese che lo deve applicare. Se il 3 per cento è un tetto di riferimento, può avere senso interpretarlo in modo non rigido e quindi superarlo in tempi di recessione proprio per invertire il ciclo, mentre al contrario quando le cose vanno bene bisognerebbe avvantaggiarsi anche sui conti pubblici: in questa logica non avrebbe molto senso stare a ridosso della soglia comunque vada il Pil.

BERLUSCONI PRUDENTE
Sul tema si è mantenuto finora più sfumato Silvio Berlusconi, che in passato aveva più volte invitato ad andare oltre i vincoli europei: in questa campagna elettorale propone comunque di realizzare la “flat tax” contando sugli introiti che essa stessa genererebbe: il che vuol dire essenzialmente fare deficit, almeno nel breve periodo.

Intanto prima che qualsiasi nuovo governo si trovi a decidere il da farsi ci sono due scadenze già fissate. Il 15 febbraio si conoscerà il rapporto debito/Pil del 2017, del quale si attende una discesa con conseguente effetto di credibilità sui mercati finanziari. Più in là, in primavera, sarà proprio la commissione a dare il giudizio definitivo sul bilancio italiano per il 2018: valutazione sospesa proprio per non interferire con la campagna elettorale. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino