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La Camera ha approvato ieri un ordine del giorno che prevede un accrescimento delle spese militari al 2% del Pil. Il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè analizza le motivazioni che hanno portato a questa decisione, i possibili futuri impieghi di questi stanziamenti ma parla anche del contributo italiano a supporto dell’Ucraina.
ll voto per l’aumento al 2% del Pil delle spese per la difesa ha ottenuto una larga maggioranza alla Camera. Quanto ha influito sulla decisione la situazione di crisi internazionale?
«Cominciamo col dire che si è trattato di una quasi unanimità. E dunque un segnale politico molto importante. Ad eccezione dei deputati del gruppo di Alternativa e di alcune astensioni, la Camera si è trovata unanimemente d’accordo nell’invitare il governo a tracciare un percorso stabile verso l’aumento del 2% del prodotto interno lordo da destinare alla Difesa. Certamente la situazione attuale ha influito e sarebbe sciocco negarselo. Ha influito nel senso di dare finalmente una percezione, una consapevolezza nuova e diversa rispetto allo scenario che stiamo vivendo e a una sorta di nuovo ordine mondiale rispetto al quale dobbiamo misurarci. Un ordine mondiale che può portare a un rimescolamento delle alleanze e che presuppone quindi capacità difensive tali da poter essere protagonisti dei cambiamenti in atto: per questo andare nella direzione del 2% del Pil non è una dimostrazione muscolare ma obbedisce a un criterio di credibilità che il nostro Paese deve acquisire non solo in ambito Nato, ma anche in ambito extra alleanza atlantica».
Come verranno impiegate queste risorse? Per l’acquisto di mezzi ed armamenti, per l’addestramento?
«È ancora prematuro pensare all’impiego di queste risorse.
Si è molto discusso della circolare di Sme sull’approntamento al war fighting. Ci stiamo preparando ad un eventuale coinvolgimento diretto nel conflitto?
«Assolutamente no. La circolare dell’Esercito altro non è che un normale documento interno che gira, quasi in maniera routinaria, nei vari uffici e reparti coinvolti ogni qualvolta bisogna prepararsi a spostarsi in un teatro operativo. La circolare altro non è che un richiamo a velocizzare le attività di preparazione, tecnicamente le chiamiamo ‘in prontezza’, cioè a essere pronti a partire laddove la Nato riterrà necessario in un periodo ristretto di tempo. Diciamocelo chiaramente: i nostri soldati non vanno a combattere, non vanno in Ucraina. Vanno piuttosto, nell’ambito delle missioni Nato alle quali collaboriamo fin dalla nostra adesione dopo la seconda guerra mondiale, a difendere i confini dell’alleanza nell’ambito dei trattati che legano i 30 Paesi di cui ne fanno parte».
L’Italia per ora ha inviato uomini e mezzi a supporto dell'Ucraina nei limitrofi Paesi Nato. Sono previsti ulteriori contributi?
«Il decreto approvato alla Camera prevede l’invio di militari secondo le esigenze che la Nato individuerà. In questo momento abbiamo circa 500 militari impegnati tra la Romania e la Lettonia con diversi sistemi terrestri e soprattutto aerei con gli Eurofighter, in un prossimo futuro siamo pronti a inviare fino a 4.000 militari secondo le esigenze della Nato. Una prima aliquota composta da circa 500 militari altamente specializzati andrà a costituire la testa d’ariete della Nato in una forza internazionale di circa 5.000 militari, il resto sarà inviato quando e se ci sarà l’esigenza di un ulteriore supporto da parte dell’Italia».
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