Torino, dal vetro alle vie di fuga: tutte le falle della serata

Bottiglie di birra, quel vetro che passa facile ai controlli ed entra nella piazza con i venditori ambulanti. Zero o quasi vie di fuga attorno a tante persone stipate in una...

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Bottiglie di birra, quel vetro che passa facile ai controlli ed entra nella piazza con i venditori ambulanti. Zero o quasi vie di fuga attorno a tante persone stipate in una piazza gonfia all'inverosimile, trentamila tra ragazzi, bambini, famiglie, tutti tifosi davanti al maxi schermo a sostenere la loro squadra. Una catena di errori che si sono combinati con la psicosi terrorismo: 1.527 feriti a causa del panico, un bimbo cinese grave e due donne in condizioni critiche.


LE ORDINANZE
Nelle ordinanze emesse dal comune di Torino si parla di viabilità e divieti di sosta attorno a piazza San Carlo. Le bottiglie di vetro? Non ci dovevano essere, ma il pavimento della piazza era lastricato di cocci aguzzi e colli di bottiglia che hanno ferito le persone che scappavano dopo quel botto spaventoso che ha scatenato l'allarme bomba. Il giorno dopo sotto processo c'è la gestione dell'ordine pubblico e della piazza. I «controlli degli zainetti non accurati», come riferiscono tanti testimoni. E quello spazio diventato una prigione, un luogo horror. Normalmente eventi del genere vengono gestiti, spiegano gli esperti dei Comuni, con una conferenza di servizi, cioè un tavolo con le forze di polizia in cui si affrontano i temi della sicurezza, sotto tutti gli aspetti.

Cosa non ha funzionato a Torino? «Gestire il panico è la cosa più difficile - dice l'ex prefetto di Roma, Achille Serra - C'era l'ordinanza di non portare i vetri? Io la feci quando si fu una cosa analoga in piazza di Spagna. Bisogna capire cose si vuole, perché altrimenti così vincono i terroristi. Io conosco il prefetto e il questore di Torino, sono due validissimi funzionari». Serra spiega che davanti a eventi del genere «bisogna attuare servizi di prim'ordine antiterrorismo e credo che questi siamo stati attuati in maniera precisa». Ma la gestione del panico, spiega Serra, è altra cosa. E la memoria va «al derby Roma-Lazio del 2004 quando tre idioti misero in giro la voce che la polizia aveva ammazzato un bambino, che non era vero - dice Serra - è stato un miracolo che non sia morto nessuno. Io e il questore ci siamo messi al microfono a dire che non era successo nulla, ma nessuno delle 60mila persone presenti ci ha creduto, addirittura dei ministri seduti accanto a me mi chiedevano conto della morte del bambino: ma è vero? domandavano. Queste sono forme di panico reale. Ed è praticamente impossibile gestire la psicosi della massa e il terrore». In quel caso andò bene. «Fui io per primo miracolato - racconta Serra - perché nessuno è morto e nessuno si è ferito. La gente iniziò a premere contro i cancelli che erano stati chiusi dagli steward e ne se erano andati, per fortuna polizia e carabinieri con le tronchesi riuscirono ad aprirli e la gente defluì, in modo non sconsiderato come è successo a Torino anche perché oggi c'è il problema grandissimo del terrorismo mentre allora c'era tutt'altra atmosfera».

PIANO ANTITERRORISMO
Quello che è successo a Torino è sotto analisi. Un the day after per sicurezza, ordine pubblico e défaillance. Secondo l'ex prefetto Serra una piazza sicura deve rispettare delle regole precise. «Intanto è necessario che ci siano chiare vie di fuga, che non ci siano vetri anche se è difficile il controllo totale, l'importante era fare un'attività valida antiterrorismo e questa mi sembra sia stata fatta». Ma che cosa si può fare davanti al panico collettivo? «Non so se si può fare molto, in futuro bisognerà pensare di mettere dei microfoni con i quali tranquillizzare la gente, poi è necessario che ciascuno prenda atto che viviamo in un momento molto difficile e complicato per cui ogni notizia che un imbecille può dare del tipo c'è un bomba scatena il panico. Il correre a quel punto significa anche ammazzare, ma allontanarsi in modo indiscriminato, saltando le barriere non serve a niente. Così vince il terrorismo, quelli che seminano panico. Invece bisogna fermarsi da un poliziotto, chiedere informazioni e allontanarsi velocemente senza travolgere».

GLI ANTIDOTI

Antidoti non esistono contro quel moto di massa che porta a gridare e scappare di fronte alla grande paura. «I microfoni, la presenza del forze dell'ordine aiutano a dare tranquillità alla gente. Ma bisognerebbe anche inasprire le pene per il reato di procurato allarme, che oggi sono ridicole - conclude Serra - ma quando la psicosi di massa si trasforma o sfocia in panico la gestione è difficilissima».

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Il Gazzettino