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No xe da finì. A palazzo Madama, ieri, non è andato in scena l’ultimo atto della battaglia sul terzo mandato. A ceneri ancora calde è infatti la Lega che torna immediatamente a far suonare i corni: «Noi ci fidiamo dell’unico giudizio che conta in democrazia - dice Paolo Tosato, vicepresidente della commissione Affari costituzionali - cioè, il voto popolare». In altri termini i leghisti non solo non sono disposti a rinunciare al contenuto dell’emendamento quasi ad personam per Luca Zaia, ma soprattutto non riconoscono il «peso politico» della sconfitta all’interno della maggioranza. Per dirla con le parole di un senatore di via della Scrofa, «tirano dritto fraintendendo il buon senso dimostrato da FdI». Il riferimento è sempre a Tosato - “zaiano” diventato frontman della partita, con il capogruppo salviniano Massimiliano Romeo volutamente defilato - che dice di apprezzare come «il governo non abbia espresso parere contrario al nostro emendamento».
Tant’è che qualche ora più tardi è Matteo Salvini in persona a metterci la faccia. Prima quasi fischiettando («Non ci sarà nessun problema in maggioranza se non passerà in Parlamento la legge sul terzo mandato»), poi rilanciando l’arrocco leghista: «La proposta è stata bocciata in commissione poi se ne parlerà nell’Aula del Parlamento, che è sovrana e i cittadini sapranno come scegliere».
Via della Scrofa
Dopo aver più volte teso la mano all’alleato, chiedendo di rimandare la discussione a dopo le Europee, Fratelli d’Italia ora resta inamovibile. Anzi, si prepara già ad alzare un muro contro il puntiglio leghista di chi vorrebbe ripresentare l’emendamento non appena il Dl Elezioni arriverà nell’aula del Senato. Ai vertici del partito meloniano, nei ragionamenti sulla strategia da adottare non si esclude la possibilità di apporre la fiducia al testo. Una mossa che porterebbe la firma di Giorgia Meloni e farebbe decadere tutti gli emendamenti al testo, obbligando alla presentazione della versione originaria. Si tratterebbe però di una potenziale sliding door che la premier e i suoi proveranno ad evitare fino all’ultimo.
La tensione però sta già salendo pericolosamente.
Se in Europa in realtà Salvini ha fatto tutto da solo schierandosi con il gruppo Identità e Democrazia, il vero terreno di scontro sarà proprio il Veneto. Archiviato potenzialmente Zaia (ma c’è da giurarci che non sarà così semplice), FdI avrebbe l’opportunità non solo di prendersi la sua prima Regione del Nord, ma soprattutto di strappare alla Lega la sua roccaforte. Sarebbe il coronamento di quel «nuovo equilibrio» del centrodestra a cui ha fatto più volte riferimento anche Meloni. Riuscirci, evitando che le crepe tra alleati diventino fratture incolmabili, è una sfida ardua in cui il ruolo di FI è fondamentale. Un esempio? Sempre il Veneto. Il post-Zaia avrebbe bisogno di una fase transitoria per evitare che si finisca con l’implodere. E allora ecco che, il testa a testa tra il meloniano Luca De Carlo e l’azzurro Flavio Tosi, potrebbe essere funzionale solo a rendere più appetibile un nome terzo, apprezzato dalla premier, e sostenuto da ambo i partiti: Matteo Zoppas, attuale presidente dell’Ice.
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