Soumahoro, spese gonfiate e migranti inesistenti: le scatole vuote delle “coop satelliti”

Secondo gli inquirenti l'associazione Jambo Africa serviva a emettere «fatture per operazioni inesistenti»

Soumahoro, spese gonfiate e migranti inesistenti: le scatole vuote delle “coop satellite”
Il sistema delle false fatture della Karibu ruotava soprattutto intorno all’associazione di promozione sociale “Jambo Africa” che aveva la stessa sede della coop...

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Il sistema delle false fatture della Karibu ruotava soprattutto intorno all’associazione di promozione sociale “Jambo Africa” che aveva la stessa sede della coop della suocera di Soumahoro, utilizzava lo stesso dominio web e soprattutto non aveva utenze intestate, né locali in affitto. Secondo il giudice Giuseppe Molfese era in sostanza un’associazione “schermo”, la cui «unica risorsa palese è il personale di per sé del tutto insufficiente a garantire le prestazioni». Secondo l’accusa, in sostanza, la Jambo era stata costituita solo «per prestare manodopera alla Karibu, secondo collaudati schemi illegali di esternalizzazione, per evitare o ridurre i costi». 


Non solo. La finta associazione veniva «utilizzata in un meccanismo fraudolento di fatture per operazioni inesistenti, onde giustificare a posteriori le uscite di denaro che la Karibu aveva l’obbligo di rendicontare nell’ambito dei progetti Sprar e Cas». Operazioni inesistenti per somme di oltre due milioni di euro. 

 

 

Gli investigatori hanno ascoltato diversi lavoratori delle cooperative riconducibili agli indagati, alcuni dei quali hanno raccontato dettagli inquietanti. «Molti ospiti del progetto Sprar si allontanavano dalle strutture per ricongiungersi ai familiari e di questi i responsabili della Karibu venivano informati immediatamente, ma non provvedevano a espungerli dalla lista, tenendoli appesi per tre o quattro mesi, continuando così a percepire il contributo per l’ospite che in realtà si era allontanato», riferisce una ex lavoratrice. Altri dipendenti descrivono agli investigatori la Jambo (ma anche la “Mukra”) come “cooperative satelliti” della Karibu. In particolare un ex operatore, che lavorò tre anni nelle coop, sostiene che «erano tutte cooperative che svolgono attività nello stesso ambito e che i punti di riferimento erano sempre i responsabili della Karibu». Alcuni neppure conoscevano la Jambo. Un ex insegnante di italiano, che lavorò quattro mesi per Karibu, ha riferito agli investigatori di aver effettuato lezioni di lingua ai richiedenti asilo negli Sprar e nei Cas «ma di non aver mai sentito parlare e di non sapere proprio nulla della Jambo». Addirittura l’ex responsabile del progetto Sprar del Comune di Sezze, che lavorò 3 anni per Karibu, ha spiegato ai finanzieri di non sapere da chi fosse gestita la Jambo ma di ricordare che «prestava servizio di insegnamento e alfabetizzazione della lingua italiana».

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TUTTO IN FAMIGLIA

Il sistema dell’accoglienza a gestione familiare, descritto dagli investigatori, mostra radici ben salde in un intreccio di cooperative, consorzi, associazioni che alla fine riportavano sempre agli stessi nomi. I ruoli venivano spesso scambiati, ma l’obiettivo era il medesimo: ottenere i finanziamenti per la gestione dei progetti di accoglienza. Il giudice Molfese usa parole pesanti per descrivere il sistema della Karibu in mano a Marie Therese Mukamitsindo e ai figli Michel Rukundo e Liliane Murekatete, moglie del deputato Soumahoro. I tre «hanno mostrato elevata spregiudicatezza criminale nell’attuare un programma delinquenziale, a gestione familiare, protratto nel tempo» scrive il giudice. Il sistema delle false fatture consentiva di «portare in deduzione dei costi mai effettivamente sostenuti, relativi a prestazioni inesistenti, beneficiando di finanziamenti pubblici, distratti dalle finalità preposte». I magistrati sottolineano come tutto ciò abbia portato a conseguenze drammatiche per i migranti abbandonati in appartamenti fatiscenti, al freddo e spesso senza cibo adeguato.

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Il Gazzettino