Alla fine il testo Renzi ce la fa. E anche con una larga maggioranza: 17 a 10. Ma i voti di Forza Italia sono decisivi per dare il via libera in commissione al Senato al ddl del...
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VIETNAM
E’ accaduto che quella che doveva essere la giornata dell’incardinamento della riforma che dovrà portare alla soppressione del Senato com’è adesso, si è trasformata in un vero e proprio sentiero vietcong in commissione, con trabocchetti, giochetti, imboscate, pullulare di ordini del giorno. E defezioni nella maggioranza. «Come testo base si vota quello deciso in Consiglio dei ministri», la linea tenuta con fermezza e con sprezzo del pericolo dalla ministra Boschi. Solo che quel testo indigesto era e indigesto rimaneva per tanti, anche nella maggioranza, per non parlare di Forza Italia che a partire da Silvio Berlusconi lo definiva «invotabile» senza per la verità spiegarne molto i motivi. «Si vota il 25, e al Cavaliere l’abbraccio con Renzi non giova», il commento questa volta unanime dalle parti del Pd. Si confermava dunque in commissione del Senato l’incrinatura dell’accordo tra Renzi e Cavaliere sulle riforme (con corollario di odg forzisti sul presidenzialismo), e la minaccia di crisi in caso di mancato decollo era rivolta anche a FI, «Berlusconi in questo momento ha un terrore folle delle urne», altro commento in casa Pd, questa volta dalle parti dei renziani. Nel gioco delle parti della linea dura durissima si inseriva dalla Camera Roberto Giachetti, che con un sintetico twitter sotto forma di ”caro amico Renzi ti scrivo” dichiarava: «Matteo, fidati di me, andiamo a votare, chi te lo fa fare». Pressing che non ha convinto i forzisti, né il resto delle opposizioni, né i dissidenti, «se forzano a votare il testo del governo sarei molto in difficoltà», aveva annunciato Mineo.
CONTROPROPOSTA
Ma le sorprese non finiscono qui. All’improvviso, ci si è messo Calderoli, che presenta un odg, così lo chiama lui, in realtà una vera e propria controproposta di legge, un testo fitto di ben cinque cartelle che di fatto sovverte la proposta del governo, propone 151 senatori eletti e la riduzione dei deputati a 400, in sostanza, un invito al harakiri per palazzo Chigi, per la ministra e per tutta la maggioranza. Si incavola pure Anna Finocchiaro, che oltre a presiedere la commissione è correlatrice con il medesimo Calderoli, costringendola a una impossibile opera di mediazione tra odg di fatto inconciliabili. Si va avanti così per buona parte della giornata, fino a che in serata, finalmente, dalla maggioranza riescono a reagire con un «basta star dietro ai giochetti di Calderoli». In realtà, il giochetto ha funzionato. Calderoli riscrive il suo testo, e riesce a convincere i riottosi. Ma perché il leghista ha potuto tenere banco? Il motivo è semplice: la sua proposta di Senato comunque ancora eleggibile ha cercato di coagulare tutto il malcontento e il dissenso presente anche nella maggioranza contro la scommessa renziana che invece punta a un Senato non più con parlamentari eletti in primo grado. Lo confermava dalla Camera Pippo Civati, tra gli ispiratori del dissenso dem: «Sono d’accordo con Calderoli, il Senato deve rimanere eleggibile». «Non la diamo vinta a Calderoli», tentava di spronare la ministra Boschi che aveva lavorato assieme a Finocchiaro sull’odg di maggioranza da affiancare al ddl governativo. E un fedelissimo di Renzi, Luca Lotti, cercava di stanare il Cavaliere: «Gli italiani sono stanchi di porcate. Ero presente alla cena sulle riforme, vediamo se Berlusconi mantiene la parola». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino