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Una riunione di famiglia per decidere come far sparire il cadavere di Saman, smembrandolo. È accaduto il pomeriggio del 30 aprile a casa della famiglia Abbas, a Novellara. Nessuna pietà, nemmeno l'ombra del pentimento. A raccontarlo, durante l'incidente probatorio, è il fratellino della ragazza sparita proprio quella sera e che sarebbe stata uccisa dai familiari che non accettavano il suo comportamento, a cominciare dal rifiuto di un matrimonio combinato in Pakistan.
CORPO SMEMBRATO
All'incontro nella casa, come viene riportato nell'ordinanza del tribunale del Riesame di Bologna, c'erano anche lo zio Danish Hasnain, considerato l'esecutore materiale del delitto, e un altro parente.
Saman, racconto choc del fratello
Un partecipante, ha riferito il fratello, «ha detto: io faccio piccoli pezzi e se volete porto anch'io a Guastalla, buttiamo là, perché così non va bene». Il cadavere di Saman, dopo due mesi di ricerche tra i campi e le serre del reggiano, non è mai stato trovato, ma i carabinieri e la Procura di Reggio Emilia non hanno dubbi sul fatto che sia stata uccisa. Determinante proprio la testimonianza del fratello minore, che ha accusato lo zio Danish.
L'uomo è però latitante, insieme ad altri tre indagati: un cugino e i genitori della ragazza, tornati in Pakistan il primo maggio.
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Nonostante quanto dichiarato da Ijaz, sussistono prove sul fatto che abbia anche lui preso parte alla fase preparatoria, allo scavo della fossa avvenuto il 29 aprile. E poi la notte successiva è andato con l'altro cugino, Nomanhulaq Nomanhulaq, a casa degli Abbas, partecipando a una sorta di pianto collettivo, la condanna a morte di Saman. Per il Riesame contro Ijaz c'è anche un altro elemento «di fortissima valenza indiziaria» e cioè «la subitanea fuga all'estero» del 6 maggio. Il fatto che sia scappato verso Ventimiglia con Nomanhulaq e che abbiano raggiunto Hasnain «avvalora ulteriormente una situazione di complicità tra i tre». La fuga infatti è «priva di qualsiasi spiegazione» non strettamente motivata «dalla corresponsabilità nell'omicidio e dalla conseguente necessità di sottrarsi al perseguimento di tale delitto».
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Il cui movente, per il Tribunale, affonda «in una temibile sinergia tra i precetti religiosi e i dettami delle tradizioni locali, che arrivano a vincolare i membri del clan a una rozza, cieca e assolutamente acritica osservanza della direttiva del femminicidio». Il pentimento non è contemplato. Nelle sue dichiarazioni, in cui ha detto di non c'entrare nulla con la sparizione, Ikram Ijaz non ha mai mostrato «il benché minimo senso di commozione» per la terribile sorte di Saman.
Il Gazzettino