Roma, all’Ifo 89 furbetti del badge: indagati medici e infermieri

Durante l’orario di servizio facevano la spesa, gite al mare o il secondo lavoro

Roma, all’Ifo 89 furbetti del badge: indagati medici e infermieri
C’è chi durante l’orario di lavoro, mentre i pazienti oncologici aspettavano di essere visitati, andava a fare shopping, a riparare l’auto dal meccanico, a fare la spesa al...

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C’è chi durante l’orario di lavoro, mentre i pazienti oncologici aspettavano di essere visitati, andava a fare shopping, a riparare l’auto dal meccanico, a fare la spesa al supermercato o una tranquilla gita al mare. Addirittura c’è chi svolgeva un secondo impiego invece che stare in corsia. Una maxi inchiesta della Procura di Roma ha scoperchiato un sistema (quasi perfetto) di false timbrature e fittizie presenze all’Ifo. Medici e infermieri si spalleggiavano tra loro per timbrare il cartellino al posto del collega e farlo figurare in servizio. Il pm Alessandra Fini ha indagato 89 dipendenti o ex dipendenti andati in pensione degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri, il soggetto giuridico pubblico che sin dal 1939 gestisce l’Istituto nazionale tumori Regina Elena e l’Istituto dermatologico San Gallicano. L’accusa, a seconda delle posizioni, è di falso e truffa aggravata e continuata ai danni di un ente ospedaliero finanziato dal Ministero della Sanità e della Regione Lazio.


LA DENUNCIA
Le condotte contestate sono avvenute nel periodo pre-Covid, da ottobre 2018 a giugno 2019. L’indagine, delegata ai carabinieri, è partita da una denuncia presentata dall’Ifo, parte lesa in questa vicenda. «Siamo in attesa di sapere come si concluderanno gli accertamenti della magistratura prima di prendere eventuali provvedimenti disciplinari», fanno sapere a “Il Messaggero” i responsabili alla comunicazione dell’ospedale. Per portare alla luce questo sistema di complicità sono state installate delle telecamere nascoste nei pressi degli apparecchi per la timbratura. Solo così è stato possibile scoprire che, spesso, a “beggiare” non era il titolare del cartellino, ma un suo collega. Un ulteriore riscontro si è avuto grazie a pedinamenti, segnali del gps lasciati da cellulari e auto, e dai tabulati telefonici. 


IL VIROLOGO
Nella lista degli indagati - che sono stati sottoposti a interrogatorio tra luglio e ottobre scorso - ci sono 22 dirigenti medici, 2 dirigenti biologi, 44 infermieri, 14 tecnici radiologi, un operatore socio-sanitario, un tecnico di fisioterapia e 5 assistenti amministrativi. Nell’elenco dei camici bianchi compare anche un infettivologo, intervistato più volte durante la pandemia e più di recente per il vaiolo delle scimmie, che non ha voluto fornire a “Il Messaggero” ulteriori spiegazioni: «Aspetto l’esito delle indagini», ha tagliato corto.


Tra le condotte contestate, ci sono anche casi in cui i dipendenti passavano dal regime pubblico alle visite private (a pagamento) in intramoenia senza timbrare il cartellino in uscita. «Per fare una tac si lavora in equipaggio, tra medico, tecnico radiologo, infermiere, impiegato amministrativo. Per fare prima uno andava a timbrare per tutti e quattro. È un comportamento scorretto, ma non è un reato», spiega un ex dirigente. «Le mie assistite, nell’unico caso contestato, stavano operando: la chirurga, per risparmiare tempo, era andata a timbrare anche per l’anestesista, mentre lei stava addormentando il paziente», spiega l’avvocato Giuseppina Tenga. Una situazione simile si era verificata anche per i medici difesi dall’avvocato Ippolita Naso.
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Il Gazzettino