«Abbiamo bisogno di due cose: un grande coinvolgimento popolare e una leadership legittimata da un passaggio popolare». L'attesa è finita e Matteo Renzi...
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Finita la tregua, semmai c'è stata, l'ex premier cerca di mettersi alle spalle il brutto risultato del referendum per rilanciare se stesso e il suo partito. Le energie non mancano all'ex sindaco di Firenze, ma gli oppositori sono tanti. Dentro e fuori il Pd. L'obiettivo è quello del congresso a primavera per andare a votare con una nuova legge elettorale, ammesso che ci si riesca, o con il sistema elaborato dalla Corte Costituzionale con le sue note sentenze.
A frenare per il voto anticipato c'è però tutto il resto del mondo politico, M5S compresi che cominciano a pagare nei sondaggi i pasticci e le improvvisazioni che continuano a collezionare a Roma.
Tranne Matteo Salvini e Giorgia Meloni, nei palazzi della politica nessuno vuole andare a votare a giugno. Un dettaglio non da poco con il quale Renzi dovrà fare i conti a cominciare da ciò che sotto traccia si agita nel suo partito. Dopo la direzione Renzi potrebbe convocare l'assemblea del Pd per avviare l'iter del congresso dimettendosi.
Con il suo passo indietro nel Pd rischia di aprirsi una guerra sui tempi e sulle regole che potrebbe ridisegnare la mappa interna al partito anche in vista del congresso che potrebbe risultare per Renzi meno in discesa del previsto visto che Dario Franceschini non è pronto a salutare a cuor leggero la possibile uscita della sinistra di Bersani e Speranza.
«La politica italiana sembra tornata alla Prima Repubblica», scrive il segretario nella lettera agli iscritti. Una verità che rivela anche la consapevolezza di possibili trame ai suoi danni che Renzi, ancora una volta, cerca di saltare bruciando tutti sui tempi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino