La vittoria del «Sì» al referendum come «punto di partenza» di una battaglia ancor più ambiziosa: quella per chiedere...
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In mattinata l'apertura dell'anno accademico a Palermo, poi un'iniziativa per il «Sì» a Trapani, un sopralluogo per il G7 a Taormina, la firma del patto per Messina e un altro evento referendario nella città dello Stretto. Renzi sa di essere in uno dei territori più trainanti per il «No» (ricorda tra l'altro il «cappotto» dei 61 seggi a 0 inflitto da FI al centrosinistra alle elezioni del 2001). E viene accolto da proteste con il lancio di petardi, una carica delle forze dell'ordine e momenti di tensione nel capoluogo siciliano e contestazioni fuori i teatri di Trapani e Messina. Le urla di qualche contestatore lo interrompono anche negli interventi referendari. Ma lui risponde con un sorriso: «Vi vogliamo bene e vi abbracciamo. Quanto tempo abbiamo perso in passato a insultare gli avversari politici... Ma politica è portare idee, poi il migliore va avanti».
Da premier, Renzi rivendica la promessa del Ponte sullo Stretto, la scelta «di sinistra» di «salvare i correntisti» di Banca Etruria e altri istituti e il superamento di Equitalia, fatto non per «lisciare il pelo» agli italiani e senza
«condoni», ma per eliminare le storture di un fisco vessatorio. Questi temi, afferma, non sono legati al referendum, perché lì si vota sulla riforma che porta «semplicità», «attacca la burocrazia e non la democrazia», combatte la tendenza a «ricorrere a Tar, Avatar, Consiglio di Stato...» e cambia i meccanismi per cui «il governo passa il tempo a difendersi dal Parlamento». «Ci sono persone che mi detestano ed è normale, ma non si vota su Renzi»: in una prima fase «ho sbagliato» a personalizzare, ammette. Ma ora, accusa, personalizzano altri.
Il governo intanto, rivendica, porta avanti la sua battaglia in Ue. «Non siamo noi a dover essere redarguiti e seguiti a vista», dice. E appare implicito il riferimento alla possibile procedura Ue sulla manovra. Ma è sui migranti che, dalla Sicilia, il premier rivendica la sua battaglia. L'Italia in passato ha «salvato i Paesi dell'Est» con i suoi contributi al bilancio Ue («Diamo 20 miliardi e ne riprendiamo 12») ma se «al prossimo giro» non verranno penalizzati i Paesi che rifiutano l'accoglienza, «non daremo tutti i soldi di adesso». L'Europa è a un «grande bivio», dichiara Renzi: «Serve una soluzione radicale e non le parole dei tecnocrati».
Per rafforzare la battaglia in Ue però, avverte il leader Dem, l'Italia deve presentarsi più «semplice» e credibile, con la riforma costituzionale.
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Il Gazzettino