Emilia, i giudici : «Qui la 'ndrangheta è una multinazionale del delitto»

Emilia, i giudici : «Qui la 'ndrangheta è una multinazionale del delitto»
La 'ndrangheta imprenditrice, scoperta dalle inchieste della Dda di Bologna e sgominata con 117 arresti nel 2015, sale di livello e viene paragonata ad una...

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La 'ndrangheta imprenditrice, scoperta dalle inchieste della Dda di Bologna e sgominata con 117 arresti nel 2015, sale di livello e viene paragonata ad una «multinazionale del delitto». La definizione, intercambiabile con quella di «holding criminale di rilievo internazionale» è nelle 1.400 pagine della sentenza firmata dalla terza sezione penale della Corte di Appello di Bologna, che con una conferma pressoché totale della decisione di primo grado, condanne fino a 15 anni per molti dei capi, organizzatori e partecipi dell'associazione calabro-emiliana, ha respinto a settembre molti ricorsi delle difese.


Le motivazioni della sentenza del processo in abbreviato, oltre a rappresentare un secondo punto segnato dalla pubblica accusa, mentre a Reggio Emilia è in corso il dibattimento per altri 150, è andata oltre arrivando a punire per la prima volta in regione un politico per un reato di mafia. Giuseppe Pagliani, ex consigliere comunale di Forza Italia all'opposizione a Reggio Emilia, si è dimesso proprio dopo la condanna a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i giudici della Corte, che hanno riformato l'assoluzione del gup, Pagliani fece un patto con gli 'ndranghetisti, e fu «un tassello essenziale per l'esecuzione del programma criminale del sodalizio operante in Emilia cui forniva effettivamente e concretamente una cooperazione ben precisa, efficace e consapevole».
La condotta del politico, spiega la Corte, deve essere valutata nel contesto del 2012, quando il prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro, aveva colpito con una serie di misure interdittive le imprese cutresi, da parte del gruppo c'era sempre più insofferenza ed era partita una sorta di controffensiva. Secondo i giudici, le azioni del consigliere furono «concretamente idonee e deliberatamente orientate a fornire supporto, visibilità e cassa di risonanza al progetto di attacco alle istituzioni e agli organi di informazione ideato dal gruppo criminoso per insinuarsi con maggior potenza, visibilità e parvenza di legittimazione anche politica all'interno del tessuto sociale della regione».

Un contributo attivo, dunque, secondo la sentenza, che sicuramente sarà impugnata in Cassazione dall'imputato. Un comportamento grave che rientra però perfettamente nella lettura data dalla procura prima e dai giudici del modus operandi di questa particolare derivazione della criminalità organizzata calabrese. Mimetizzata, mascherata, ibrida, capace di infiltrarsi nei gangli vitali dell'economia di una regione ricca come l'Emilia e di assumere il monopolio di settori come l'edilizia e il movimento terra. E che per farlo ha bisogno di una sorta di «borghesia mafiosa esistente al nord, composta da imprenditori, liberi professionisti e politici». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino