Il frontale era inevitabile anche se i più scommettevano che sarebbe successo più a ridosso del referendum. La minoranza non crede più alle aperture di Matteo...
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Qualche colomba continua a consigliare a Renzi di sostanziare l'apertura con qualche proposta ma il premier non vuole rimanere impiccato a modifiche che, è convinto, sarebbero bocciate dagli altri partiti e finirebbero per offuscare una battaglia «nel merito» sulla riforma istituzionale. «Non mi si può raccontare che gli asini volano. Vediamo in direzione, ma io non mi aspetto nulla», è scettico Bersani. Mentre Roberto Speranza rompe gli indugi: «Il tempo è scaduto, io voto no». La reazione dei renziani non è con i guanti di velluto e lascia presagire che nei prossimi mesi nel Pd voleranno gli stracci. Rischiando di trasformare il referendum in un congresso anticipato del Pd che si svolgerà nel 2017. «La minoranza usa il referendum contro Renzi per una battaglia politica che si dovrebbe fare in altre sedi», attacca Dario Franceschini, il primo, insieme a Giorgio Napolitano, a chiedere a Renzi di ripensarci sull'Italicum. Il no della minoranza, alla quale si è aggiunto Ignazio Marino - è la linea dei renziani - è strumentale, mirato solo ad azzoppare il premier per tornare in pista.
«D'Alema e Marino volevano la fine del bicameralismo paritario ed il Senato delle autonomie. Chissà perchè hanno cambiato idea...», osserva Luca Lotti mentre su twitter i fedelissimi postano il programma di Ignazio Marino quando si candidò alla segreteria del Pd. Renzi vorrebbe nell'intervento di domani tenere a bada la rabbia. E rovesciare le accuse della minoranza, mettendo all'indice le incoerenze per dimostrare che la scelta del No «é solo per antipatia» verso di lui. «Bersani ha votato sì tre volte a questa riforma - osserva il leader Pd - non l'ho scritta io da solo a Rignano sull'Arno, è stata due anni e quattro giorni in Parlamento. Bersani l'ha votata 3 volte, se cambia idea ognuno si farà la sua opinione».
La colpa della rottura, sostiene il bersaniano Miguel Gotor, è solo di Renzi: «L'unità del partito è il principale compito del segretario, disatteso costantemente uno strappo dopo l'altro».
Il Gazzettino